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Siamo entrati in un’epoca di profondi cambiamenti. Cambiamenti culturali, economici, energetici e politici.

Abbiamo assistito a fenomeni di massa innescati da dinamiche che, prima della pandemia, non avevano mai fatto parte della nostra quotidianità. Penso alla great resignation, ma anche al movimento no-vax e ad altri fenomeni che hanno attraversato le nostre società in questi ultimi tre anni e mezzo.

 

A livello personale, i cambiamenti sono stati innescati principalmente dalla forzata inattività con cui abbiamo dovuto confrontarci. Dai periodi di quarantena è nata una riflessione personale attorno ai concetti di tempo, di spazio, di consumo e di equilibrio ai quali non avevamo mai dato davvero peso, mentre oggi si sono trasformati in trend mondiali.

L’impennata nelle ricerche di case con giardino, così come la crescente richiesta di lavorare da remoto anche una volta che l’emergenza pandemica si è esaurita, sono solo alcune delle tendenze figlie del Covid 19. Tendenze che stanno continuando a crescere, diventando sempre più rilevanti nella quotidianità di ciascuno di noi.

Un altro trend riguarda la valutazione del prodotto da parte del consumatore secondo dinamiche, metriche e valori che nel periodo pre-Covid erano proprie solo di una nicchia di mercato, mentre oggi sono condivise da una buona fetta di consumatori.

 

La maggior parte dei clienti delle aziende più o meno strutturate hanno iniziato ad interrogarsi sugli impatti generati dai prodotti utilizzati e, di conseguenza, su quelli generati dalle aziende stesse.

Concetti come responsabilità sociale d’impresa, emissioni di CO2 e strategie ESG hanno iniziato ad entrare con prepotenza nel gergo quotidiano delle aziende, passando velocemente dallo stato di macro-trend futuro a quello di necessità strategica del presente.

Oltre ai comportamenti del consumatore finale, i quali possono essere più o meno interessanti per le aziende italiane in base ai settori di riferimento (pensiamo alla differenza tra le realtà B2C e quelle B2B), credo valga la pena chiederci quali siano i fattori che stanno spingendo questa transizione verso un’economia più sostenibile, accelerandone il processo rispetto alle previsioni anteriori al marzo 2020.

 

Il primo punto da prendere in considerazione è sicuramente la domanda generata dal mercato. Abbiamo già visto le dinamiche che possono interessare le aziende che si rivolgono in modo diretto al consumatore finale, ma cosa possiamo dire invece di tutto il comparto B2B?

Gli imprenditori con cui ci confrontiamo quotidianamente ci raccontano di filiere intere che si stanno muovendo nella stessa direzione. Sono sempre più numerosi i casi in cui l’azienda capo filiera intraprende il proprio percorso di transizione sostenibile, trascinando con sé i propri fornitori dopo aver dato loro un periodo di tempo per adeguarsi alle nuove policy ambientali e sociali. Questo rappresenta un ultimatum significativo, dato che spesso implica il rischio di terminare le relazioni commerciali.

Insieme alle filiere, l’altro ambito che si sta muovendo a grande velocità per introdurre valutazioni e prodotti legati alla sfera ESG è sicuramente il mondo finanziario.

Sono ormai numerosi gli istituti di credito dotati di strumenti per misurare le performance ESG delle aziende correntiste secondo le linee guida emanate dalla European Banking Authority nel 2021, la quale invitava il mondo del credito a «valutare l’esposizione del cliente ai fattori ESG, in particolare ai fattori ambientali e all’impatto sul cambiamento climatico, e l’adeguatezza delle strategie di mitigazione».

 

Grazie agli strumenti di valutazione ESG sviluppati, gli istituti di credito sono in grado di capire quali investimenti rispettino i parametri e gli schemi normativi legati alla tassonomia verde, creando prodotti ad hoc con vantaggi dedicati agli investimenti volti ad accelerare la transizione sostenibile.

In parallelo vediamo come il legislatore si stia muovendo a livello europeo per strutturare in maniera quanto più precisa possibile il vasto mondo della sostenibilità, ponendo le basi per un insieme di norme e regolamenti che diano a tutte le realtà aziendali europee la chiarezza di cui hanno bisogno (e, allo stesso tempo, limitare il triste fenomeno del greenwashing).

Un passaggio importante in questo senso è rappresentato dall’approvazione a fine 2022 della nuova direttiva sul reporting non finanziario per le aziende europee, la quale mette in chiaro chi tra di loro debba obbligatoriamente investire i propri sforzi verso le tematiche ESG.

La direttiva ha avuto anche il ruolo di allineare i target ambientali delle aziende agli obiettivi del Green Deal europeo, codificando gli approcci e le metodologie secondo uno standard scientifico e fornendo tempistiche precise.

Nello specifico, la direttiva prevede che a partire dal 1 gennaio 2024 le grandi imprese con oltre 500 dipendenti inizino a riportare secondo i nuovi standard, seguite l’1 gennaio 2025 dalle grandi imprese che attualmente non sono soggette alla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (aziende con più di 250 dipendenti e/o 40 milioni di euro di fatturato e/o 20 milioni di euro di totale attivo). Infine, dal 1 gennaio 2026 toccherà alle PMI quotate e alle altre imprese.

 

Qual è, allora, la strada maestra che ci sentiamo di suggerire ad un imprenditore che voglia far chiarezza su questo trend - chiamato sostenibilità - che ci sta travolgendo con forza maggiore ogni giorno che passa, e che sembra diventare sempre più imprescindibile per far impresa con successo?

Il primo punto che ci teniamo a sottolineare è che la sostenibilità non si può inventare: non possiamo svegliarci una mattina e decidere di intraprendere un percorso di transizione sostenibile. Rischieremmo di fare più danni della grandine.

Iniziare un percorso sostenibile a livello aziendale richiede un momento di riflessione da parte del board e un’analisi approfondita per capire il punto di partenza, la situazione attuale che l’organizzazione sta vivendo in tema di sostenibilità. 

Solo con una governance motivata e una situazione di partenza chiara si possono porre delle basi solide, necessarie per iniziare un percorso che non si spenga nel fuoco di una meteora passeggera, ma che sopravviva ai normali entusiasmi iniziali, riuscendo a generare un impatto non solo sui processi aziendali, ma anche e soprattutto sulla cultura delle sue persone.

 

È fondamentale capire che fare sostenibilità non significa aggiungere nuova operatività all’azienda, magari da gestire attraverso un team dedicato o ritagliandosi del tempo di tanto in tanto. Fare sostenibilità significa modificare la propria cultura aziendale. E prima diventa un discorso culturale, più naturale sarà la transizione e prima vedremo i frutti che questo cambiamento porta in termini di aumento della coesione e del commitment, miglioramento del clima aziendale e sviluppo dei rapporti lungo la catena del valore - a monte e a valle.

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<strong>Davide Smania</strong>
Scritto da Davide Smania

Vengo dal mondo dello sport di cui cerco di vivere ogni giorno i valori fondanti: dedizione, sacrificio, spirito di squadra… e qualche doppio passo, per rendere ogni sfida più avvincente e divertente.

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