Sentirsi parte di qualcosa di grande
Adoro i panorami montani. Il mio profilo Instagram ne è pieno. Alcuni sono imponenti, mi percepisco così piccolo che mi sento un niente di fronte al tutto. Altri, pur nella magnificenza, mi ci fanno sentire dentro, una parte di quel tutto.
Preferisco questi ultimi.
Gli architetti la chiamano “intimità monumentale”. Quel fenomeno per cui, pur essendo davanti a qualcosa di larga scala, riesci a trovare il tuo posto, ad interagire con quell’ambiente.
Nelle aziende funziona più o meno così. È sicuramente anche una questione di dimensione. Essere una formichina in un formicaio rischia di generare alienazione. Ti senti un numero all’interno di un processo di cui non vedi né l’inizio né la fine.
Non è un pericolo solo per le multinazionali da migliaia di dipendenti. Può capitare in tutte quelle aziende dove l’ingaggio del collaboratore non avviene, dove il senso del suo essere in azienda non è condiviso.
A chi fosse tentato di liquidare questo fenomeno come “buonismo da consulenti”, roba per chi non tiene presente la necessaria produttività quotidiana di cui un’azienda ha bisogno, propongo questi dati rilevati all'inizio del 2024 negli Stati Uniti: il 53% dei dipendenti non si sente impegnato con la propria azienda, mette tempo ed energie ma non passione, mentre il 17% ritiene di non doversi preoccupare delle sorti e delle performance della propria realtà. Resta fuori un 30% di ingaggiati e collaborativi.
Personalmente, ritengo che siano dati abbastanza significativi in termini di produttività aziendale.
Gallup fotografa questa situazione dal 2000 e l'analisi di questi 23 anni ci dice che non è un fenomeno post-Covid. Il trend è stato rilevato fin dai primi anni di misurazione, con un tasso di dimissioni che accelera in modo costante ogni anno. La pandemia lo ha prima bloccato (2020), poi aumentato.
Perché la “grande scala” genera alienazione? Perché più l’organizzazione è ampia e complessa e più si pensa che la connessione basata sul comando e controllo ne garantisca il funzionamento. Ne assicuri il corretto declinarsi della strategia. Però, come spesso amo ripetere, “crea una organizzazione a prova di idiota e la gente si comporterà da idiota” (Dave Gray).
I numeri ci dicono che è giunto il momento di mettere in discussione questo assunto. Quella che viene trascurata è la velocità del contesto competitivo. La frustrazione delle persone sta proprio nel vedere nella connessione direttiva una modalità che oltre ad essere poco efficace non valorizza il senso di essere parte di quella comunità aziendale.
La connessione partecipativa parte proprio, come per l’architettura paesaggistica, dal concetto di intimità. La cultura aziendale ha bisogno di intimità. Ha bisogno di un senso di appartenenza. Così da non sentirsi più un nulla di fronte al panorama aziendale.