Aziende cooperative: la condivisione dei valori aziendali per alimentare la relazione con il socio
Non è una sfida facile ricordarsi di essere oltre che di esserci. Esserci sul mercato, sulla distribuzione, sulle agenzie, sui punti vendita e sulle gondole, e infine esserci anche in quella benedetta assemblea dei soci annuale che nella sua routinaria e burocratica necessità, tendiamo a vivere con noia. Figuriamoci poi se l’organizzazione necessita anche di assemblee separate. Se si deve, facciamole… via il dente, via il dolore. Ma è tutto qui lo spirito della cooperazione? Non è meglio ricordarsi di essere oltre che di esserci?
I soci sono passeggeri o piloti della cooperativa?
Ogni cooperativa deve gestire una doppia sfida: alimentare la relazione sia con il cliente esterno, sia con il socio, l’attore che anima l’esistenza stessa dell’organizzazione e che rappresenta quindi una sorta di cliente interno. Come? Perché? Se la rete commerciale non valorizza l’essere cooperativa nel proprio disco di vendita, se la comunicazione pensa solo al prodotto, se la governance non si preoccupa di rivitalizzare costantemente la relazione con il socio e se i soci con il CdA si sentono solo dei passeggeri e non dei piloti dello sviluppo strategico, allora c’è un grosso problema e tanto varrebbe avviare un percorso di modifica della struttura societaria. L’essere cooperativa non è una prescrizione medica (o ancora peggio del commercialista), ma è una scelta di valore; rispettarla vuol dire rendere onore a una storia di mercato lunga quasi 200 anni e che, per la cronaca, ha trovato spazio anche nella Costituzione italiana, con un articolo dedicato, il n.45.
La condivisione dei valori aziendali e l’applicazione pratica del cooperativismo, sono la conditio sine qua non per essere realmente una cooperativa, soprattutto se a mutualità prevalente. Sembra banale, ma non è così. E questa carenza cronica, nella sua ovvietà, è alla base di una generale perdita di senso che si respira e si palesa quotidianamente, nell’insoddisfazione del conferitore o del prestatore d’opera, nell’insicurezza della governance, nella riottosità al cambiamento esplicitata degli operatori. Allora, ribadiamo la domanda, non è meglio ricordarsi di essere oltre che di esserci? Perché l’inevitabile conseguenza del non essere è proprio la disconnessione con la base sociale che, un po’ alla volta, sgretolerà la capacità di generare numeri e risultati.
La storia della cooperazione è una storia di valori
C’è un punto di partenza solido che può facilitare questo percorso di condivisione valoriale: la riscoperta della storia aziendale in relazione alla più generale storia del cooperativismo. Lo sviluppo della cooperazione, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, non è solo una questione di cultura del lavoro e organizzazione aziendale: rappresenta invece un pezzo importante della storia italiana ed europea, tra risorgimento, sviluppo e management. Dare una ripassata alle origini del mondo cooperativo vuol dire prima di tutto rivedere e magari riscoprire/ridefinire valori, idee, principi, etica aziendale. Il nostro presente - unitamente all’idea stessa di azienda contemporanea - passa anche dalla valorizzazione del lavoro cresciuto nell’alveo delle cooperative a partire da metà ‘800; e tematiche come il work-life balance, il rispetto, la cultura delle risorse umane, la cultura d’impresa, le società benefit ne sono la naturale evoluzione.
Alle origini della cooperazione
La cooperativa è un modello organizzativo e aziendale della nostra quotidianità così diffuso che, oramai, viene dato per scontato. Ma la cooperativa in sé non è mai un fatto scontato. Contiene infatti troppi valori e contenuti perché possa essere banalizzata nel nostro fare quotidiano. Mettiamo giù una data: il 1844. Questo è l’anno di fondazione della prima cooperativa moderna: la Società dei Probi Pionieri di Rochdale (Rochdale Pioneers Society). 28 operai, con poche risorse e pochissimi risparmi, fondarono questa organizzazione per aprire uno spaccio capace di offrire, anche ai più poveri, generi alimentari come farina e zucchero. Da quella prima iniziativa, seguì poi una macelleria, un negozio di stoffe e un mulino. Ma il vero valore dei Pioneers va oltre il successo della loro iniziativa; in primo piano dobbiamo mettere la loro consapevolezza che nella gestione diretta della distribuzione potevano esserci delle risorse per difendere il reddito dei soci e la loro visione che nell’organizzazione poteva esserci la possibilità di definire e difendere principi ben precisi come il rispetto tra le persone, la solidarietà, il valore dell’istruzione, i diritti delle donne, la tolleranza religiosa. Asset culturali che nel 1844 anticipavano, con la cooperazione, una lunga lista di diritti protetti solo parzialmente dalle normative o del tutto ignorati
L’importanza di tutto questo deve essere ben contestualizzata su una linea temporale: la prima cooperativa nacque appena 55 anni dopo la Rivoluzione Francese e 73 anni prima della Rivoluzione di Ottobre. A cavallo tra questi due eventi, la cultura del lavoro cooperativistico riuscì a trovare un equilibrio - in particolare l’equilibrio tra capitale e forza lavoro - senza bisogno di sparare un colpo o ghigliottinare nessuno. Fu sufficiente l’impegno, l’olio di gomito, la voglia di lavorare assieme e anche la capacità di accollarsi dei rischi, ma nel rispetto delle persone e del mercato. Chissà, se quella esperienza fosse stata compresa e valorizzata appieno, forse ci saremmo risparmiati tanti drammi novecenteschi.
Quando si scambia il concetto di cooperazione con quello di collaborazione
È proprio il lavoro però, nelle difficoltà quotidiane e nelle complicazioni sovrastrutturali, che può generare uno scollamento dal sistema valoriale della cooperativa o, anche, portare delle organizzazioni a costituire nuove cooperative per questioni di opportunità (finanziamenti, fiscalità…), prive quindi di quell’afflato che dovrebbe alimentare il cooperativismo in generale. Sono queste le situazioni in cui si scambia la collaborazione funzionale, dettata dalle necessità, con la vera cooperazione. Ma tra collaborazione e cooperazione intercorre una sostanziale differenza. Perché se la collaborazione è figlia del labor latino, la cooperazione è figlia dell’opera: labor, è la parola stessa che lo dichiara, è un traballare, un faticare sotto ad un peso, che nella collaborazione andiamo a condividere; l’opera invece è la giornata di campagna, il tempo dell’agricoltore per la sua terra che - nella cooperazione - si somma al tempo di altri agricoltori, per renderlo più efficiente.
La condivisione valoriale con soci e collaboratori
E quindi? I soci conferitori o i soci prestatori d’opera, così come i collaboratori dell’organizzazione cooperativistica, spesso e volentieri diventano attori di meccanismi molto complessi dove è molto facile dimenticare l’anima alla base del sogno aziendale. La collaborazione funzionale prende il sopravvento sulla cooperazione valoriale e la gestione quotidiana straborda negando all’organizzazione qualunque momento di gratificazione: il fare va a sommergere il valore, facendoci dimenticare che, sostanzialmente, noi esseri umani abbiamo bisogno di senso, di scopi, di contenuto e di momenti per vivere questi aspetti. Ignorare gli scollamenti tra base sociale e cooperativa è molto pericoloso. Le cooperative non possono dimenticare che i loro datori di lavoro sono i soci stessi e che la condivisione con loro è alla base del modello di business.
Nella storia del modello cooperativo troviamo i semi della cultura manageriale contemporanea
Dal nostro passato, ancora oggi possiamo cogliere e valorizzare i semi lanciati nel 1844 dai Pionieri di Rochdale per guardare al futuro dell’azienda contemporanea. Nella generale evoluzione del modello manageriale che abbiamo tutti la fortuna di vivere in questi anni 2000, vale la pena appuntarsi altre due date: il 13 aprile 2010, cioè il giorno in cui il Maryland approvò la prima legislazione per le benefit corporation, e il 28 dicembre 2015, data in cui lo Stato Italiano, secondo stato sovrano al mondo, emanò una norma similare. Da qualunque punto di vista la si guardi, è opportuno prendere consapevolezza di una grande evoluzione culturale nel mondo delle aziende: abbiamo la fortuna di farne parte e il sistema della cooperazione, con un ruolo da protagonista, ha ancora tanto valore da trasmettere, da raccontare e da vivere.