“Marketing” deriva dal verbo “to market” e ne rappresenta la forma continua.
Se partiamo da questa base capiamo che, letteralmente, il marketing non può essere inteso come una funzione aziendale “stand alone”, a sé stante.
Il marketing è un processo composto da diverse funzioni, ruoli, attività che connettono l’azienda ai suoi pubblici target, che le permettono di essere e rimanere nel mercato.
Purtroppo, nella realtà di molte aziende, il marketing è prima di tutto frainteso e, di conseguenza, mal gestito.
Frainteso perché spesso lo si confonde con la comunicazione. Prova a fare un piccolo test sulla tua azienda: di cosa si occupa il marketing? Se ti vengono in mente solo attività di comunicazione (digital e non) allora quello non è un ufficio marketing, è un ufficio comunicazione.
Frainteso perché spesso lo si pone a riporto di sales o lo si ingloba in quel dipartimento: in tal caso l’ufficio marketing quasi sempre si appiattisce su aspetti operativi a supporto dei colleghi della funzione commerciale.
Frainteso, infine, perché si pensa che tutte le domande e le questioni di marketing possano o debbano essere risolte all’interno di uno spazio, fisico e mentale, chiamato ufficio marketing.

Il marketing, invece, comincia ben prima e finisce ben dopo l’ufficio marketing: comincia con l’analisi di mercato e finisce in ogni touchpoint di ascolto e conversazione con gli stakeholders.
Può un unico ente aziendale occuparsi di tutto ciò? Finanche può una persona (Marketing Director) essere l’unica responsabile (o per meglio dire accountable) di un intero processo così esteso? La domanda è ovviamente retorica.
Nessuno può dirsi unico responsabile del marketing e nessuno può dirsi per nulla responsabile di almeno un aspetto che abbia a che fare con il marketing.
Siamo tutti, in quota parte, responsabili del buon marketing delle nostre aziende. Sin qui, spero che il discorso proceda e si distenda in modo chiaro e lineare. O, almeno, che lo faccia prima di schiantarsi contro un muro spesso invalicabile e sempre molto resistente: la struttura a silos e verticistica delle aziende.

Fin dai tempi di Taylor (“L’organizzazione scientifica del lavoro”, 1911) le aziende hanno gestito la propria organizzazione come ci hanno insegnato a fare anche in matematica a scuola: scomponendo il problema in parti. Ciò ha potenziato la produttività di ogni singola unit e indebolito le connessioni tra le diverse funzioni. E il problema assume portate maggiori quando si entra nel marketing, che fa delle connessioni con le altre unit un elemento vitale, fondativo, proprio per quanto sopra esposto.
La scomposizione del problema può funzionare se il tema è complicato, ma non se il problema è complesso. Provo a spiegarmi.
Capire come funziona un aereo è complicato, gestire il traffico aereo è complesso. Costruire il motore di un’auto è complicato, progettare la guida autonoma in città è complesso.
È complicato (“con le pieghe”) tutto ciò che ha un’importante tecnicità, che va compresa per essere gestita e “dominata”. Molti si approcciano così al marketing, con un approccio tecno-centrico, convinti che si possa “spiegare” il marketing attraverso schemi di sequenze da gestire magari attraverso tool.
Certo, il marketing è complicato e non si impara in pochi giorni e neppure mesi o anni. Ma il marketing è soprattutto complesso (“abbraccia più parti”), perché non si può far bene Marketing senza occuparsi anche di dinamiche di mercato e di consumo, logiche sales e operations, finanziarie e legate ad HR.
Ed è questo che non comprendono molti imprenditori e marketers tecno-centrici: cercano di costruire una macchina perfetta ma non comprendono che la sfida abbraccia, letteralmente, parti diverse.

Come possiamo allora gestire il marketing in modo distribuito per gestirne la complessità? La parola d’ordine è: condivisione.
Ma, per arrivarci, ti racconto di un’interessantissima analisi che mette a confronto i costi di manutenzione e il numero di incidenti che avvengono in presenza di incroci semaforici e di rotonde. Cosa c’entra? Dammi fiducia ancora per qualche riga.
Parto da quanto ben illustrato da Aaron Dignan nel suo testo Brave New Work: è scientificamente dimostrato che sostituire incroci semaforici con rotonde porta a un’importante riduzione di costi (intuitivo) e di incidenti (contro-intuitivo).
Sai perché? Perché le persone danno il meglio di sé quando sono psicologicamente più coinvolte.
Facciamo un passo indietro, o per meglio dire…un pizzico di retromarcia. Gli incroci semaforici sono semplici, dicono alle persone cosa fare con segnali luminosi chiari: se rosso fermati, se giallo rallenta, se verde vai. Tutto intorno e per terra, altri segnali di obblighi e avvertimenti. Eppure le persone, distratte, sbagliano e causano incidenti.
Le rotonde funzionano secondo tre principi chiari: si gira in senso antiorario, chi è dentro ha la precedenza, si mette la freccia per uscire. Le persone, con più princìpi e meno segnali, sono più vigili, attente e sbagliano meno.
Ecco perché, nelle nostre aziende, dobbiamo sostituire i semafori con le rotonde! Cosa significa? In primis condividere meno regole e più criteri decisionali. Quali sono i princìpi che vogliamo che ispirino la nostra organizzazione? Quali sono le cose che assolutamente non debbono essere fatte, in linea con i nostri princìpi?
Sì, hai letto bene: cosa NON va fatto.
In questo modo ridurremo di molto la lista delle indicazioni rispetto a ciò che va fatto. Anche perché ciò che va fatto potrebbe essere mutevole e dovremmo sperare che fosse così, in ottica di miglioramento continuo, sempre se e solo se le procedure agite continueranno a rispettare i princìpi comuni.
“Eh ma in questo modo si rischia che le persone agiscano in modo diverso!”. L’hai pensato? Se è successo non preoccuparti, lo abbiamo fatto tutti.
Sì, è così e questo non deve essere un deterrente perché:

  1. approcci diversi possono dare modo di testare diverse soluzioni;
  2. approcci diversi possono assecondare oggettive diversità, spesso non considerate nelle rigide procedure;
  3. le persone potranno discutere, anche animatamente, se non sono d’accordo su come hanno portato avanti un’attività o un progetto, ma potranno partire del presupposto di aver agito in buona fede secondo i princìpi condivisi;
  4. si libera e diffonde la capacità e la responsabilità decisionale, quindi anche la reattività.

“Eh ma le persone hanno bisogno di regole, altrimenti si perdono e tendono a perdere produttività e ad agire in modo opportunistico”. Questo è un problema enorme: il pre-giudizio sulle persone.
Le aspettative si autorealizzano: se ti aspetti che le persone siano irresponsabili, agirai mettendo un sacco di incroci e cartelli, le persone abbasseranno il loro coinvolgimento e diventeranno meno responsabili.
Se ti aspetti che le persone possano essere (sempre più) responsabili, metterai più rotonde e meno incroci, darai più criteri e meno norme, le persone si coinvolgeranno di più per capire autonomamente quali sono le cose giuste da fare e si responsabilizzeranno sulle loro scelte. Causa ed effetto sono invertiti rispetto a quello che molti pensano.

Per fare meno marketing, quindi, la parola d’ordine è “condivisione”: lo avevamo già detto e ora lo capiamo meglio:

  • Condividere le responsabilità
  • Condividere la direzione strategica
  • Condividere i principi e i valori guida
  • Condividere una visione aperta al contributo di tutti

Per farlo, dobbiamo vincere contro grandi avversari:

  • Il “si è sempre fatto così”
  • Il “non si può fare”
  • La paura di perdita di controllo
  • Il proprio ego

La sfida è ardua, ma vale la pena di essere giocata fino in fondo.

Francesco Sordi

Imprenditore, consulente e docente universitario. Founder e socio amministratore di Surf the Market srl, Build the Forest srl, Sognomatto Holding srl. Specializzato in marketing strategico, positioning, branding (esterno e interno).

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani sempre aggiornato!
Attenzione!
Per un'esperienza di navigazione completa utilizza il tuo dispositivo in verticale.
Grazie!