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Aurelio Bauckneht

Consulente Marketing

 

Marketer specializzato nel settore agrifood, è stato responsabile marketing e comunicazione per oltre 10 anni di un importante gruppo del comparto primario italiano. Interessato alla cultura d'impresa e alle sue mille sfaccettature, ha realizzato il podcast Storie dai Mercati, prodotto da G&P. 

 

 

Tra gli appassionati di cultura aziendale, gli studi sulla leadership di Simon Sinek hanno segnato un importante momento di svolta. In particolare il “Golden Circle”, il famoso modello proposto da Sinek nel 2009 in “Start with why”, è diventato in poco tempo un riferimento certo, concreto e appassionante; fondamentale per chi si occupa di strategie per il posizionamento aziendale, ma in realtà utile e declinabile all'interno di qualunque modello organizzativo. 

 

Con grande semplicità e immediatezza, Sinek ha concettualizzato la predisposizione del cliente verso i 'perchè', cioè la preferenza ad acquistare prodotti/soluzioni gravidi di valori, di motivazioni e visioni imprenditoriali, al di là dei benefit tecnici, in realtà spesso scarsamente differenzianti. 


In un mondo in cui la stragrande maggioranza delle aziende focalizza tutte le attività di comunicazione sulle qualità tecniche del prodotto e sul prezzo, i lavori di Sinek hanno indubbiamente portato una ventata di freschezza, riportando al centro il sogno dell'imprenditore. Essenziale quindi, secondo il modello di Sinek, una organizzazione che parta dalle reali motivazioni imprenditoriali e che si sviluppi dall'interno, dai perché, verso l'esterno, alimentando il come, cioè le modalità di realizzazione, e il cosa, in altre parole il prodotto.

 

Ma gli studi di Sinek sono perfettamente applicabili al contesto italiano ed europeo? Il Golden Circle, tra cosa - come - perché, è certamente un validissimo strumento di analisi, ed è allo stesso tempo uno straordinario faro che illumina il cammino imprenditoriale, ma è evidente che mettendo a confronto la cultura di marketing americana e la cultura europea, emerge prepotentemente una differenza sostanziale: il valore attribuito al territorio, cioè al dove, in particolare nel comparto agroalimentare.

La mitopoiesi aziendale americana, dall'eroico self-made man alla dimensione spaziale del garage, è strutturalmente diversa dalla narrazione sviluppata nel vecchio continente. La dimensione culturale dello spazio (così come quella del tempo, del quando) nell'immaginario europeo influenza maggiormente il posizionamento e la visione aziendale, a confronto con un’America dove il territorio si configura come una distesa ampia e scarsamente significante e differenziante.

 

Un esempio? Pensiamo al posizionamento del Grana Padano; la rinomata DOP, la più consumata al mondo, che contrappone alla dimensione del garage quella dell'abbazia benedettina; che al mito degli anni '80 e della rivoluzione digitale, risponde con una storia millenaria, lenta e fortemente territoriale.


I BRAND GEOGRAFICI

La categoria dei brand geografici è ampia e variegata; corre da soluzioni meramente creative fino a realtà in cui il brand è il territorio e il territorio è il brand.

 

Ricordiamo la mitica vettura Gran Torino, resa celebre in tutto il mondo da un famoso film di Clint Eastwood? Un naming che palesa la capacità attrattiva di un territorio, richiamando dall'altra parte dell'oceano una certa sensazione di nostalgia per una storia amata, bramata, ma in realtà mai vissuta. Ma questa marca si basa a conti fatti su un riferimento geografico meramente creativo, scelto per caratterizzare l'identità di un prodotto. Confrontiamola invece con il sistema di certificazione europea IGP e DOP che esplicita a chiare lettere il ruolo determinante del territorio nella definizione delle qualità intrinseche di numerose produzioni agroalimentari. Con la già citata DOP Grana Padano, ma anche la sua sottozona Trentingrana, il Parmigiano Reggiano, il vino Valpolicella, il Franciacorta e così via, tra brand geografici noti e meno noti, gli esempi di produzioni in cui marca/prodotto/territorio vanno a creare un unicum difficilmente imitabile, di certo non mancano.


È evidente: nella cultura europea è naturale attribuire al territorio, cioè al dove, un elemento fortemente caratterizzante del posizionamento, tanto da essere tutelato a livello normativo. E, laddove possibile, supportandolo con il quando, cioè con la storicità. Ed ecco quindi un sistema economico e agroalimentare in primis, che certamente può concettualizzare efficacemente il suo perché in sinergia con il come e il cosa come suggerito da Sinek, ma tenendo in considerazione il rilevante valore del dove.

 

MARCA o BRAND?

Emblematica in questo percorso sull'importanza del dove, la differenza etimologica che separa due parole che usiamo abitualmente come sinonimi: marca e brand. 

 

Seppur evidente la somiglianza etimologica, non capita mai di pensare al termine marca come parente stretto di marchese, della nostra regione al plurale Marche o ancora di certi ricordi scolastici come la marca di Ancona o la marca trevigiana... Eppure la radice è la stessa: il termine germanico marka, cioè terra di confine, legato a sua volta a mark cioè un segno, tracciato magari su degli alberi o su dei cippi per delimitare un perimetro invalicabile. L’identità di un prodotto determinata dalla marca, non nasce quindi in primissima battuta da un cosa, da un perché, da un chi o ancora da un come, ma principalmente da un confine, da un dove. Passiamo invece al termine anglofono brand che deriva dal verbo to burn, bruciare, cioè proprio l’atto di marchiare a fuoco il bestiame con un segno riconoscibile, un mark. In questo senso, le analogie tra marca, marchio e brand sono veramente evidenti, ma lo è anche il valore di una diversa prospettiva territoriale. Ritornando alla Germania, impossibile non citare il sostantivo brandmarken che sembra riuscire a riassumere efficacemente questa stretta relazione tra segno e contesto geografico.

 

LE CIRCOSTANZE SONO UN VALORE

Il celebre filosofo José Ortega y Gasset ci ha aiutato a comprendere e a valorizzare le relazioni tra l'io e le relazioni spaziali, sociali e temporali che ci coinvolgono fin dalla nascita: "Yo soy yo y mi circunstancia, y si no la salvo a ella no me salvo yo" (io sono io e la mia circostanza, e se non salvo questa non salvo neppure me). Viviamo immersi all'interno di "circostanze", di "storie" e di "spazi" che ci hanno resi unici, unitamente alla nostra volontà. Se pensiamo alla vita, alla biografia, degli imprenditori di successo, questo concetto risulterà ancora più chiaro e immediato. Abbiamo quindi un impegno: valorizziamo i nostri perché all'insegna del dove; le nostre marche assumeranno maggiore valore anche grazie alle loro "circostanze", al loro contesto, in particolare quello territoriale.

 

QUANDO IL SOGNO SI DIMENTICA DEL DOVE

La relazione tra cosa, come e perché, unitamente al dove, è l'alchimia, l'equilibrio, la tensione circolare capace di trasformare il sogno aziendale in successo. Ma la valorizzazione del perché nel rispetto del dove, è anche qualcosa in più: è una responsabilità sociale, etica, che impatta sul territorio, sugli abitanti e sulla loro cultura. Spaccare questa relazione, vuol dire togliere valore all’intero sistema locale. 

 

In una trattazione su un tema così delicato come quello dell'origine, del territorio, cosa dovremmo dire allora delle aziende italiane che hanno cercato di trasferire all'estero la sapienza produttiva degli areali locali, in particolare quella agroalimentare, tratteggiando con ambiguità il concetto di made in Italy? Semplicemente tre cose: che non ci risulta abbiano saputo ricreare l'eccellenza organolettica originaria; che non sono state in grado di creare un vero processo di vendita basato sul valore, ma più semplicisticamente sui volumi; che, in ultima istanza, se sono stati in grado di emergere a livello industriale e speculativo, sempre ed inevitabilmente lo hanno fatto al di fuori del mito e del sogno, in un più adeguato e confacente ruolo di follower.

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