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  4. Il mercato del lavoro tra domanda e offerta

Perché è così difficile trovare nuovi collaboratori, e come mai tanti scelgono di andarsene anche dopo molti anni trascorsi in azienda?

Aumentare l’offerta di benefits non sembra essere la risposta giusta ad un mercato del lavoro sempre più complesso e competitivo.

Simon Sinek, ideatore del Golden Circle e fautore della teoria per cui “non conta che cosa fate, ma il perché lo fate”, ha dimostrato come le aziende che riescono a creare un legame di valori con i propri clienti siano anche quelle che raccolgono un maggior successo sul mercato.

Sempre secondo questa teoria, le aziende che invece si fermano al racconto del proprio prodotto e delle sue caratteristiche finiscono nel cosiddetto oceano rosso, quello popolato da una concorrenza spietata e nel quale sono soggette alla costante comparazione di prezzo da parte dei consumatori.

 

Ora, se provassimo ad applicare la stessa teoria al mercato del lavoro, per uscire dall’oceano rosso dovremmo applicare una strategia differenziante.

Ci dovremmo quindi chiedere quali sono quegli elementi che rendono il posto di lavoro nella nostra azienda più attraente per il potenziale lavoratore.

 

Barbara Jäger, consulente HR e specialista di processi di recruitment, nonché ideatrice del premio Top company award, durante un nostro confronto ha così sintetizzato la situazione attuale: «il dipendente, oggi, deve essere trattato né più né meno che come un cliente».

In altre parole, il nostro compito è quello di attrarlo e dimostrargli che la nostra offerta è migliore delle altre, dopodiché bisognerà trovare il modo di fidelizzarlo.

Il primo passo da fare sarà quindi quello di condividere la strategia aziendale con i propri collaboratori.

In questo modo non sentiranno più di avere solo una piccola parte all’interno di un percorso di breve periodo, ma capiranno qual è il proprio contributo rispetto al grande sogno dell’imprenditore, iniziando anche loro a sognare insieme a lui.

Chi da giovane ha fatto gavetta in azienda sa di cosa sto parlando: avere molta energia e voglia di mettere in pratica le teorie studiate faticosamente, ma dover poi fare i conti con la frustrazione di portare idee che spesso vengono giudicate inappropriate. Non tanto perché poco valide, quanto perché incompatibili con la direzione aziendale stessa.

Questa è una condizione comune a molti giovani talenti e che porta, nel tempo, ad una lenta e inesorabile perdita di motivazione e, infine, all’abbandono dell’azienda.

 

Se la condivisione della strategia è alla base di tutto, è però anche vero che da sola non può bastare.

 

La strategia è un piano dalla durata limitata ed è normale che sia così, dovendo questa assecondare l’evoluzione del mercato.

Ciò che invece rimane fermo nel tempo è l’identità dell’azienda, e anche questa è molto importante che venga condivisa.

L’identità aziendale rappresenta l’essenza dell’organizzazione, la scala di valori sulla quale essa poggia. In breve, la ragione stessa per cui è al mondo. 

 

Quando condividiamo la strategia e ci identifichiamo anche con i valori incarnati dall’azienda, ci scopriamo in sintonia con essa e lavorare diventa più semplice. D’improvviso non facciamo più semplicemente un lavoro, ma perseguiamo un obiettivo che sentiamo essere, almeno in parte, anche nostro.

Non a caso la frase che spesso ritorna quando si spiegano le ragioni per cui si è lasciato un posto di lavoro è questa: «guadagnavo bene, ma non avrei messo la faccia per quell’azienda».

Siamo disposti a metterci la faccia solo quando sentiamo che qualcosa è nostro e ci rappresenta.

 

La vera difficoltà sta quindi nel capire quale sia il valore che vogliamo condividere in azienda.

 

Non è sufficiente dire che il valore portante per la nostra realtà è la sostenibilità, perché la concezione di sostenibilità nostra e dei nostri collaboratori potrebbe essere molto differente. La specificità dei valori e la loro messa in pratica sono dunque un elemento fondamentale.

Può anche capitare che alcune persone si ritrovino a lavorare per uno scopo superiore in modo quasi naturale, ma - spoiler - questo non avviene mai per una questione di orari, di benefit o di retribuzione.

 

Il caso IWO

IWO è una società operante nell’ambito dell’assistenza alle persone non autosufficienti. I servizi da loro offerti spaziano a 360° attorno alle necessità dei loro assistiti. Il loro perché, ovvero il valore fondante dell’azienda, è quello di permettere a chi non lo è di vivere nel modo più autosufficiente e indipendente possibile.

IWO è stata vincitrice del Top company award 2022, il contest che premia le aziende con il miglior contesto aziendale sulla base della valutazione che ne danno i propri dipendenti.

L’azienda ad oggi ha un bassissimo tasso di fluttuazione e sembra non subire l’impatto dello sconvolgimento del mercato del lavoro. 

Ho voluto intervistare le due direttrici: Margith Höck e Gabriela Ebner Rangger, per capire che cosa ci sia alla base del loro successo.

 

Come state vivendo questo periodo di grande fluttuazione del mercato del lavoro?

Non ne siamo particolarmente colpite, anzi. Abbiamo solo delle assenze per maternità. 

 

Secondo voi, cosa rende i vostri dipendenti tanto legati all’azienda?

Sicuramente il fatto di essere una realtà solida che può garantire un posto di lavoro stabile; concediamo orari flessibili e una retribuzione adeguata. Vogliamo dare alle persone che non sono autonome un modo per vivere autonomamente e siamo tutti convinti di questo obiettivo, quindi diamo tutti noi stessi per realizzarlo.

 

È possibile che sia una predisposizione naturale a portare i collaboratori a scegliere di lavorare con un’azienda come la vostra? 

I nostri collaboratori hanno tutti una formazione in psicologia, sociologia o pedagogia, quindi sì, probabilmente la maggior parte delle persone che scelgono percorsi di studio legati all’assistenza lo fanno perché hanno già una forte predisposizione nell’aiutare l’altro.

 

Si potrebbe parlare di sogno? 

Sicuramente fanno un lavoro coerente con la scelta di vita che hanno fatto. La direzione professionale coincide con quella personale.

 

Quali sono invece le caratteristiche delle persone che non hanno scelto questo percorso di studi per vocazione? Hanno un approccio diverso al lavoro?

Il nostro lavoro non è semplice, siamo spesso in trasferta e dobbiamo garantire una presenza costante. Ne va della vita delle persone. Col tempo abbiamo notato che i collaboratori che se ne vanno, quelli che non sono soddisfatti, sono anche quelli che avevano scelto l’indirizzo di studi un po’ per caso, come ripiego rispetto ad altro.

 

Visto l’esempio di IWO, terminata l’intervista non ho potuto non chiedermi il perché fossero tanti i posti vacanti nel settore della sanità e dell’assistenza agli anziani.

Forse perché lo scopo, il valore di aiutare il prossimo, ha perso di rilevanza all’interno di queste realtà? Il fatto che molte società ospedaliere abbiano messo al centro dei propri sforzi la necessità di far quadrare i conti potrebbe contenere la risposta a questa domanda.

Dopotutto, è chiaro che questo non possa essere un perché nel quale chiedere ai collaboratori di identificarsi.

In questi casi, l’interesse del collaboratore per l’azienda si riduce velocemente al rapporto tra il proprio contributo lavorativo e la restituzione in valore tangibile (stipendio e benefit) che gli viene riconosciuto. 

 

Rispetto poi alla facilità con cui le aziende operanti nel settore sociale riescono ad aggregare le persone in modo naturale, creando una forte energia frutto dell'unione del proprio sogno individuale con quello del fondatore, è più difficile riuscire a trovare una comunione di valori spontanea nel mondo delle imprese produttive e dei servizi.

Per riuscire a trovare e a mantenere dei collaboratori che riescano a portare la loro energia in azienda, contribuendo con maggiore produttività e valore, in questi casi è fondamentale individuare un perché chiaro, semplice ed esplicativo nel quale il collaboratore possa identificare almeno una parte del proprio sogno di realizzazione personale.

A quel punto, anche se le strategie scelte per affrontare il mercato dovessero cambiare, faticherebbe meno a comprenderle e a farle proprie, perché la strategia sarà solo un mezzo attraverso il quale realizzare il sogno che a monte condivide con l’azienda.

 

In conclusione, l’attrazione e la fidelizzazione dei collaboratori e dei clienti si basa forse su un principio comune, la possibilità cioè di realizzare, almeno in parte, il proprio sogno personale.

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Simonetta Cesaro
Scritto da Simonetta Cesaro Aiuto le organizzazioni a rimanere competitive nel tempo, preparandole ad affrontare i cambiamenti in modo strutturato e fedele alla propria identità. Per me, la forza è nel contributo di ogni singolo collaboratore.
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