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Intervista a Roberto Biasi

Roberto Biasi è CTO e co-fondatore, assieme al fratello Vinicio, di Microgate, l’azienda pilastro dell'innovazione nel campo del cronometraggio sportivo. La sua storia, nata da un’esigenza emersa durante i suoi allenamenti di sci, lo hanno nel tempo portato all’esplorazione di soluzioni rivoluzionarie anche in molti altri settori, primo fra tutti quello astronomico.

 

In questa intervista ripercorriamo assieme a lui le tappe che si nascondono dietro alla nascita di un’innovazione, consapevoli che la complementarietà tra creatività e metodo è un equilibrio prezioso… e mai scontato

 

Di innovazioni ormai ne hai create tante, ma c’è un momento in cui hai capito dire di essere diventato, a tutti gli effetti, un inventore?

Ho sempre avuto una certa inclinazione verso le tecnologie e la ricerca di soluzioni innovative, ma la prima volta in cui ho messo a terra questa vocazione riguarda la mia passione per lo sci. Durante gli allenamenti era difficile monitorare il proprio tempo, soprattutto al di fuori delle gare. La soluzione tradizionale prevedeva il collegamento dei sensori posizionati alla partenza e all’arrivo tramite chilometri di cavi ed era impensabile riuscire a replicarla al di fuori degli eventi ufficiali. È così che mi è venuto in mente un sistema che potesse trasmettere via radio l'impulso di cronometraggio. Alla base di questa idea c’è anche la nascita di Microgate, perché l’idea di produrre e commercializzare questi cronometri è stato un progetto che ho intrapreso insieme a mio fratello. Nel tempo poi sono nate tante altre soluzioni, sempre integrate all'interno di Microgate, ma non per questo legate al mondo del cronometraggio.

 

È questo il momento in cui capisci che innovare poteva essere il tuo lavoro?

Mi è sempre piaciuto cercare soluzioni innovative e utili, però sì, è stato con la nascita di Microgate che ho capito che questa direzione poteva trasformarsi in qualcosa di interessante. All'inizio, dopo il mio dottorato al Politecnico di Milano, avevo la possibilità di accettare delle alternative allettanti sotto il profilo lavorativo, ma ho scelto di perseguire con Microgate, perché la vedevo come un'iniziativa più personale. E questo al netto delle tante difficoltà legate alla fase di avvio.

 

Ho letto che all’inizio tu e tuo fratello vi dedicavate a Microgate dopo gli impegni quotidiani, spesso rimanendo in piedi fino alle 4 del mattino. Cosa vi ha tenuti svegli durante quelle notti insonni?

Sicuramente l’attitudine al lavoro ha avuto la sua importanza. Anche da ragazzi, se ci mettevamo in testa un obiettivo facevamo di tutto pur di realizzarlo. Ma credo ci sia stata anche una vocazione familiare, perché nostro padre era un imprenditore e l’idea di realizzare qualcosa in proprio c’è sempre stata. Personalmente, per quanto le strutture di ricerca mi siano sempre piaciute, l’idea di creare qualcosa di mio è stata una motivazione più forte. C’è chi preferisce un ambiente più sicuro, che gli permetta magari di muoversi con maggiore libertà senza dover pensare a determinati aspetti. Io ho preferito un’altra strada. In ogni caso, la passione gioca un ruolo fondamentale. Difficilmente riesci a stare in piedi fino alle quattro del mattino se la cosa che stai facendo non ti piace, perché ad un certo punto ti addormenti e molli. Ci dev’essere qualcosa che ti spinga ad andare avanti.

 

Sei Dottore in ingegneria aeronautica. Quando si pensa ad un ruolo come il tuo, spesso ci si immagina poca creatività e tanto metodo. È un’associazione corretta?

Se vuoi arrivare in fondo ad un progetto con un contenuto di innovazione, devono esserci entrambi. Creare qualcosa di nuovo significa risolvere un problema inedito, oppure affrontarne uno per il quale esiste già una soluzione, ma farlo in un modo diverso. Questo richiede una certa dose di fantasia e di creatività. A quel punto però sei solo all’inizio dell’opera. Una volta che hai formulato l'idea, metodo e organizzazione sono fondamentali se vuoi arrivare a scaricarla a terra e creare qualcosa che possa essere prodotto e commercializzato. Su questo punto emerge una differenza importante tra la mentalità universitaria, più orientata alla ricerca, e il mondo delle imprese, perché la fase di realizzazione può essere molto più impegnativa rispetto a quella creativa di ideazione. Anche se può essere la parte più appassionante, la creatività da sola non basta. Specialmente quando si declina in progetti di una certa complessità, gli aspetti organizzativi e la pianificazione del lavoro sono estremamente importanti.

 

Quindi prima viene la creatività e poi segue il metodo, giusto?

Molto dipende dal contesto e dalle problematiche specifiche. In alcune attività più routinarie, il metodo e le tecniche consolidate prendono il sopravvento, mentre quando si tratta di affrontare nuove sfide la creatività può fare la differenza. A volte le due cose si sovrappongono, per esempio quando all’interno di un progetto emerge l’esigenza di risolvere un problema secondario in modo innovativo. In linea di massima è molto importante che questi due aspetti coesistano in modo equilibrato, perché così facendo  si ottiene più facilmente un risultato positivo.

 

L’immaginario collettivo ci ha abituati alla figura del genio ribelle, ma è davvero possibile che un outsider possa stravolgere le regole del gioco?

Non è semplice darti una risposta universale. Ci sono situazioni in cui un outsider può effettivamente contribuire portando una soluzione inaspettata. Dobbiamo però capire cosa intendiamo per "outsider". Se parliamo di qualcuno completamente estraneo al campo di interesse, è improbabile che possa offrire una soluzione brillante. L'idea dell'inventore che improvvisamente propone una soluzione rivoluzionaria, pur provenendo da un campo completamente diverso, è rara. Non dico impossibile, ma quantomeno improbabile.

 

Mi hai parlato di metodo e di quanto sia importante l’organizzazione per scaricare a terra le nuove idee. Tu come gestisci il passaggio dall’ispirazione creativa alla pratica realizzativa?

Questa è una bella domanda, perché può capitare di affezionarsi alla propria soluzione e, quando succede, passare dalla fase creativa a quella di realizzazione non è per nulla facile. Il passaggio non è scontato e in alcuni casi potrebbe essere gestito da persone diverse. Questo perché alcuni professionisti sono molto brillanti quando si parla di innovazione, ma lo sono meno quando si tratta di tradurre le loro idee all’interno di uno schema organizzato.

In ogni caso, è importante che l'organizzazione sia strutturata in modo da poter accogliere facilmente le innovazioni, quando arrivano. Questo perché a volte una soluzione innovativa può dover essere integrata in un progetto esistente. In questi casi, gli aspetti legati al project management sono fondamentali, perché dopo che hai intuito il potenziale di un’idea e i vantaggi che può apportare al tuo lavoro, devi essere in grado di assorbire lo “scossone”, per così dire, e inserirla all'interno del flusso di lavoro senza causare ritardi o interruzioni nelle altre attività.

 

Quando parliamo di innovazione, quale ruolo gioca l'ambiente di lavoro?

Penso abbia un ruolo fondamentale. Un ruolo che tocca, se vuoi, anche il mio lavoro come imprenditore. Creare e favorire i rapporti tra le persone è importante se vuoi mantenere quel giusto equilibrio tra una struttura organizzata e una struttura che riesca ancora ad esprimere degli entusiasmi creativi. Non è detto che le due cose vadano d'accordo: in molte strutture di ricerca e sviluppo hanno provato ad inserire delle metodologie a matrice, ma non hanno ottenuto grandi risultati. Hanno visto che togliendo alle persone la visione d’insieme del progetto si andava ad intaccare il loro entusiasmo. Senza spiegare che cosa si stesse facendo, quale fosse l’obiettivo e quali fossero le motivazioni per cui erano state prese determinate scelte tecniche, la motivazione crollava. Ecco perché gestire creatività e metodo è così importante. Se non stai attento, rischi di cadere in uno dei due estremi. Se il sistema è lasciato esageratamente libero, permettendo qualsiasi tipo di deriva personale, potresti non arrivare in fondo al tuo progetto. Al contrario, se declini tutto all'interno di uno schema troppo rigido, con delle responsabilità e dei processi congelati, rischi di togliere alle persone l’entusiasmo che sta alla base della loro produttività. Non stiamo parlando di una catena di montaggio, dove un’organizzazione ferrea può ottimizzare la produzione: nel nostro campo una struttura troppo rigida rischia di produrre l'effetto opposto.

Come ho già detto, è una questione di equilibrio. Solo così puoi garantire che l'azienda da un lato resti innovativa e dall’altro sia capace di raggiungere le sua finalità, concretizzando gli obiettivi nei tempi previsti.

 

Se ti dovessero chiedere di scegliere tra creatività e metodo, tu cosa risponderesti?

Ragionando puramente con il cuore, risponderei creatività. Però con la consapevolezza che senza un metodo per scaricarla a terra rischia di rimanere qualcosa che non mi affascina del tutto. Quando incontri un ricercatore puro è quasi un peccato ingabbiarlo all'interno di una struttura organizzata, mentre io faccio fatica a rinunciare all’idea di concretizzare i miei progetti. Ammetto che darti una risposta netta mi mette un po’ in difficoltà, perché è da sempre che cerco di trovare il modo di declinare insieme questi due aspetti!

 

In questi giorni è uscito in sala Oppenheimer, il film in cui si racconta la costruzione della prima bomba atomica. Hai già visto il film? Sarebbe interessante conoscere il punto di vista di chi, per quanto riguarda ricerca e innovazione, queste dinamiche le vive ogni giorno…

Purtroppo no, non l’ho ancora visto. Però qualche anno fa ho visitato Cape Canaveral e posso dirti che sono rimasto impressionato dall’incredibile innovazione dietro alla missione lunare. Mancava la teoria, mancava la pratica… si sono dovuti costruire il terreno sotto ai piedi, sono partiti da zero. Per riuscire a fare quello che hanno fatto, c’è stato questo enorme sforzo per portare a conciliare gli aspetti innovativi con la necessità di arrivare in fondo ad un progetto, il tutto in tempi incredibilmente ridotti.

Vedere come ci siano riusciti, pur coinvolgendo una quantità incredibile di persone, è stato sbalorditivo. Però vedi, anche in quel caso il fattore umano è stato determinante. Qualche anno fa ho avuto il piacere di essere invitato a cena da quello che a suo tempo è stato il responsabile dello sviluppo del LEM, il modulo di allunaggio. Ricordo che mi spiegava come nessuno fosse lì per i soldi. Le persone lavoravano giorno e notte perché si era creato uno spirito di grande motivazione, e solo questo ha permesso di realizzare quello che tutti credevano fosse impossibile. Questa per me è stata una lezione importante. Ti fa capire quanto l'aspetto umano, la motivazione e la passione possano valere più di qualsiasi altra cosa.

 

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