Matteo Moscardi è un appassionato agrotecnico e divulgatore radiofonico. Possiede un vivaio in Val Camonica, dove quotidianamente lavora e osserva l’impatto che i cambiamenti climatici stanno avendo sul nostro pianeta.
Conduce il programma Radiossigeno su Radio Voce Camuna e ha una rubrica su Radio Deejay. È autore del romanzo “Naturale pazienza”.

 

Cosa sta succedendo attorno a noi?

Confusi da voci discordanti, capire a che punto siamo rispetto ai cambiamenti che stanno attraversando l’ecosistema del nostro pianeta non è sempre facile.

Anche per questo abbiamo deciso di chiederlo a Matteo Moscardi, agrotecnico specialista e appassionato, per osservare attraverso i suoi occhi la forza di un cambiamento tangibile e concreto.

Un cambiamento che non lascia spazio ai dubbi, ma per il quale - anche se piccolo - anche noi possiamo portare il nostro contributo.

 

Partiamo dal principio: chi è Matteo Moscardi?

Matteo è un ragazzo che ha avuto la fortuna di nascere e crescere a contatto con la campagna, quindi con i ritmi di una vita che l’uomo moderno ha un po’ dimenticato. Fin da bambino ho dato una mano nell'azienda agricola di mio nonno ed è lì che ho imparato ad osservare la natura. Mi affascinava soprattutto il passaggio tra l'inverno e la primavera. Credevo che passasse qualcuno ad attaccare le foglie nuove sugli alberi, mi sembrava impossibile che da quelli spogli la natura riuscisse a ricreare un mondo verde e rigoglioso. Crescendo poi ho frequentato l’indirizzo agroambientale e una volta finiti gli studi ho iniziato a lavorare come giardiniere in un vivaio.

 

Cosa ti ha colpito di quella prima esperienza?

Lì ho capito che quello poteva essere il mio lavoro. Stavo con persone che facevano quel mestiere da tanti anni ed erano tecnicamente molto brave, anche se non erano sempre curiose. Non sapevano perché si usasse un concime invece di un altro, né il perché di certe malattie. Andando avanti ho deciso di aprire un vivaio tutto mio, ero convinto che sarei stato in grado di farlo fruttare di più. In realtà i primi anni sono stati difficili: un vivaio è un’attività commerciale come tutte le altre ed essere bravi non basta, o comunque non è l’unica cosa che importa.

 

Chi sono i clienti del tuo vivaio?

Le persone che vengono da me vengono per iniziare un percorso all'interno del proprio giardino. Parlo di percorso perché il giardino è un ambiente in movimento, quindi ha bisogno di molta attenzione. Lo si può vedere un po' come una foresta addomesticata, se non gli stai dietro il lato selvaggio esplode. Per addomesticarla bisogna conoscerne i tempi, i ritmi e le necessità. A volte pensiamo che le piante ci chiedano quello che vogliono, ma non è così. Siamo noi a dover capire dove sta il problema.

 

Hai definito il giardino come una foresta addomesticata. Possiamo dire che il giardino è una foresta con del metodo?

Avere del metodo ti permette non solo di creare un giardino, ma anche di mantenerlo nel tempo, quindi direi di sì. Per esempio, se hai una rosa e vuoi che fiorisca di nuovo, devi andare a pulire lo sfiorito con costanza, perché se non togli i fiori che hanno dato la loro fioritura la pianta non sarà stimolata a fiorire di nuovo. Questo significa andare in mezzo alle rose con le forbici una o due volte a settimana… e non è per tutti. Se hai poco tempo potresti optare per un’ortensia. Richiede decisamente meno lavoro, perché il fiore che nasce a luglio appassisce sulla pianta e rimane lì fino all’autunno.

 

Mi hai parlato di tempi e di ritmi naturali. Ce n’è uno di cui ultimamente si discute spesso: a che punto siamo rispetto al cambiamento climatico?

Partiamo dal presupposto che io non sono uno scienziato, né un ricercatore. Sono un semplice fruitore dell’ambiente e della natura che mi circonda. Quello che posso dirti è che, nel mio settore, dovremo adeguare lo stile di coltivazione,  perché è innegabile che qualcosa stia cambiando. Estati caldissime, eventi atmosferici repentini, chicchi di grandine grandi come uova... Il cambiamento climatico sta rendendo tanti prodotti difficili da trovare, perché alcune piante iniziano a soffrire le temperature. Una cosa che si può fare è dotarsi di teli ombreggianti, di serre areate che permettono di riparare un po’ le coltivazioni dalla canicola. Questi però sono escamotage. Purtroppo ci sta arrivando addosso un problema che sarà molto difficile da risolvere. Tanti scienziati stanno cercando di trovare il sistema per eliminare la CO2 in eccesso, ma in realtà esistono già delle molecole meravigliose, come la clorofilla, che ci permettono di trasformare la  CO2 in ossigeno. L'uomo e le piante dovrebbero andare di pari passo, perché lo scarto della fotosintesi è ciò che nutre l'uomo, ciò che lo fa respirare, mentre lo scarto dell'uomo, l'anidride carbonica, è ciò che permette alle piante di creare l'energia di cui hanno bisogno per vivere.

 

Uomo e piante in simbiosi tra loro. Eppure oggi questo equilibrio non c’è più: quand’è che si è rotto?

Si dice a partire dalla prima rivoluzione industriale, perché fino a quel momento l'uomo aveva utilizzato sempre e solo fonti di energia rinnovabile. Le sue braccia, gli animali da soma, i mulini a vento, quelli a cascata… Con l’introduzione del carbone è cambiato un po’ tutto e l’anidride carbonica ha iniziato ad essere più di quella che le piante potevano trasformare. Questo deficit, alla lunga, ha cambiato le sorti del pianeta. Anzi, più che del pianeta, le nostre. Si parla spesso del male che stiamo facendo alla natura, ed è vero, ma chi rischia l'estinzione siamo noi.

 

Ce ne stiamo rendendo conto, secondo te?

Il problema climatico non arriva quasi mai ad essere considerato un problema. Da qui nasce il mio desiderio di raccontare cosa sta succedendo, portando un po’ di consapevolezza sui cambiamenti che stiamo vivendo. Radiossigeno, il programma che conduco su Radio Voce Camuna, una piccola radio locale, è nato per questo.

 

Come siamo arrivati a questo punto?

Mio nonno, la persona che mi ha approcciato alla vita di campagna, diceva sempre che ogni volta che risolvi un problema te ne stai creando due di uguale importanza. È chiaro che chi ha iniziato ad usare i combustibili fossili non pensava a cosa sarebbe potuto succedere. Ha visto l’opportunità di produrre una grande quantità di energia e ha pensato che fosse la soluzione migliore ai suoi problemi. Non aveva i mezzi per sapere che, più avanti, tutto quello avrebbe avuto un prezzo da pagare. Lo sappiamo noi oggi, perché abbiamo tutti gli strumenti per poter dire che lo sfruttamento del pianeta ci sta portando all'estinzione. Purtroppo non ce ne rendiamo conto, perché crediamo di essere la specie dominante. In realtà esistiamo da appena 300.000 anni, mentre le latifoglie in generale ne vantano almeno 70 milioni. La verità è che siamo nati nomadi, e quando finivamo tutto quello che c'era in un territorio ci limitavamo a scappare da un'altra parte. Stavolta, però, non avremo un altro posto in cui andare. Tutto questo non lo dico io: seguo tanti scienziati, dal professor Stefano Mancuso a Luca Mercalli, che da sempre mi aiutano a capire le dinamiche che stanno attraversando il pianeta e la natura. Mi piace leggere quello che scrivono, e a forza di leggere è venuta voglia di scrivere anche a me.

 

Secondo te, cosa possiamo fare nel nostro piccolo per affrontare questa situazione?

Una persona per respirare ha bisogno di quattro alberi ad alto fusto. Il loro lavoro, in termini di produzione di ossigeno, fornisce quello che gli serve nell’arco di una vita. Ecco, penso che ogni persona dovrebbe piantare quattro o più alberi ad alto fusto. È un’azione pratica, qualcosa di concreto. Un modo simbolico per aiutare noi stessi e le nuove generazioni a vivere. Non possiamo pretendere che siano sempre gli altri a risolverci i problemi, dobbiamo e possiamo fare qualcosa anche noi. Può sembrare poco, ma non lo è. Poi, ovviamente, possiamo e dobbiamo aggiungere tutte quelle pratiche che possono aiutarci a inquinare meno: usare i mezzi pubblici, qualche volta andare a lavorare a piedi o in bicicletta…

 

Sostenibilità uguale rinuncia? O forse si tratta solo di cambiare il metodo con cui facciamo le cose?

Rinuncia non è la parola giusta. Potrebbe esserlo ricalibratura. Ricalibrare le nostre vite, ricalibrare l'utilizzo che facciamo delle materie e dei prodotti. Ogni volta che vendo una pianta nel mio vivaio, per esempio, chiedo che i vasi mi vengano restituiti. Questo perché, anche se vengono gettati nella raccolta differenziata, in qualche modo generano un impatto. Non dobbiamo pensare che riciclare sia sempre la scelta migliore: riciclare ha comunque un costo in termini di risorse. Se invece compri una pianta da me e mi riporti il vaso, io lo potrò utilizzare ancora una volta per lo stesso lavoro. Questo non significa rinunciare a qualcosa, ma semplicemente ricalibrare di poco le proprie abitudini.

 

Parliamo del tuo libro. Di che cosa si tratta?

Era da diverso tempo che sentivo la voglia di scrivere qualcosa, ma trovare un argomento con cui riempire le pagine non è stato semplice. Poi è arrivato un momento buio, ho dovuto affrontare la perdita di mia mamma. Ricordo che il giorno dopo il funerale continuavo a dirmi: posso resistere a qualsiasi dolore, ma non a questo. Non capivo perché la vita mi avesse messo in castigo e, forse per scappare un po’ da quel dolore, ho cercato di immaginarmi un’altra storia, magari anche di dolore, ma che non fosse il mio.

In realtà, scrivendo mi sono reso conto che il problema più grosso che puoi avere nella vita è quello che hai in questo momento, non puoi immaginare di averne un altro, magari più semplice. Devi risolvere i tuoi problemi mano a mano che li hai. Ne è nato un romanzo in cui ho messo tanto di mio e di quello che la natura ha rappresentato per me. In un certo senso, ho scritto di come questa riesca a risolvere i suoi problemi meglio di quanto sappia fare l’uomo. Come ho già detto, noi siamo abituati a scappare da un posto all’altro. Quando ci troviamo con le spalle al muro, facciamo fatica a raccogliere le risorse di cui abbiamo bisogno per affrontare i nostri problemi. Le piante, invece, possono sembrarci più vulnerabili perché non si possono muovere, eppure sono sopravvissute a catastrofi inimmaginabili.

Resistono senza scappare, e questo penso sia un bellissimo messaggio.

 

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