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Mark You… avete un bel coraggio a parlare di sogni.

Mi chiedete di scrivere un articolo nel quale spiegare come, attraverso le azioni di gestione delle persone nelle aziende, sia possibile rendere concreto il sogno imprenditoriale e far partecipare il team alla sua realizzazione.

Un sogno, però, bisogna averlo.

Il sogno è qualcosa di fragile che va coltivato amorevolmente, non abbandonato quando tutto intorno si fa freddo. Siamo sicuri che tutte le imprese abbiano un sogno? Forse qualcuna in passato l’ha avuto, ma poi l’ha dimenticato. Qualcun’altra ha cambiato proprietà e chi ha acquisito si è limitato a raccoglierne i frutti. Qualche grande o grandissima impresa, invece, potrebbe avere sogni che non sono poi così belli da raccontare.

Insomma, prima di pensare a come portare a bordo le persone e coinvolgerle nel sogno, guardiamo bene e cerchiamo di vedere il sogno dov’è e come sta. 

 

Viviamo in un’epoca strana, ricca di sorprese.

Più la verità viene offuscata e più essa si rivela. Chi oggi non si rende conto che il rapporto di lavoro sta diventando un mero contratto commerciale? Che le aziende in tanti casi non sono scelte per quello che sono, ma per quello che offrono? 

Due anni di pandemia hanno assestato un colpo mortale a ciò che restava del sogno d’impresa. Una selvaggia solitudine imposta e una distanza fisica che diventa anche distanza emotiva si sono tramutate in una sterilizzazione delle relazioni, la quale oggi rende sempre più difficile per le nostre piccole e medie imprese attrarre e trattenere talenti.

 

Ci sono aziende multinazionali che fanno incetta di giovani tecnici con retribuzioni insostenibili per le nostre realtà. Strategicamente investono, come si farebbe in marketing, grazie a riserve sempre più ingenti e alle spalle molto larghe. Anche questo è un modo per vincere la concorrenza e avere poi il terreno libero.

Ma quale sogno è realmente interessata ad offrire una multinazionale straniera che acquisisce una piccola e media impresa italiana solo per aggiungere un tentacolo alla sua struttura? Quale sogno ricerca il lavoratore che la lascia per andare a lavorare in una multinazionale lontana anni luce dal nostro contesto, magari con una formula completamente in smart working?

Sembra un film senza lieto fine. Ma io sono convinta che non sia così.

 

I trend della maggioranza non rappresentano l’unica realtà possibile, anche se, in un periodo dove l’informazione ha un solo unico colore, è facile confonderla con il tutto. 

 

Esistono però imprese, imprenditori, manager e lavoratori che hanno un sogno e lo vogliono realizzare attraverso il loro lavoro. Sono uomini e donne con una visione che travalica l’impegno quotidiano e si riversa nel mondo circostante permeando a macchia d’olio la società.

Ci sono persone che vogliono frequentare i colleghi, conoscerli, sapere chi sono, cosa fanno e cosa amano.

Ci sono persone che cercano un bel posto di lavoro vicino a casa, magari che abbia qualcosa a che spartire con la propria provincia e regione; un luogo anche fisico attraverso il quale far parte di una comunità. 

Spegnere la fiamma, rinnegando la propria identità solo perché pare non vada più di moda, è innaturale. Per qualche imprenditore è una rinuncia impossibile, troppo dolorosa e lontana dall’essere.

Rendiamola più viva allora, facciamola vedere questa fiamma. Impariamo veramente a condividerla (e qui si inserirebbero i temi che l’amico Davide mi ha chiesto di scrivere), definiamo e urliamo con fierezza la nostra identità e qualcuno ci verrà a trovare. Qualcuno che, come noi, ama il fuoco.

 

La realtà ha molte più sfaccettature e complessità rispetto a come la rappresentiamo e, in queste sfaccettature, ci sono tutti quei particolari che definiscono in maniera meno stereotipata e stilizzata le persone.

Dobbiamo imparare a conoscere chi lavora con noi o che potrebbe entrare nelle nostre aziende personalmente, attraverso i particolari e le sfumature che ne marcano l’essenza. In futuro dovremo essere sempre più capaci di individuare la passione, il potenziale creativo addormentato sotto la cenere, contribuendo a rinvigorire la fiamma del sogno anche dove le persone non la guardano, dove non sono abituate ad esplorare.

Dovremo poi creare l’ambiente giusto affinché sia possibile ri-allenare questo potenziale.

Possiamo indirizzare noi i trend, cambiare rotta ed evitare di adeguarci all’onda. Anche se, per chi deciderà di farlo, non sarà un lavoro comodo.

 

Concludo questo articolo con uno stralcio di una serie di riflessioni che ho portato al Direttore risorse umane di una mia azienda cliente.

Una di quelle PMI che ha ancora un sogno.

 

“Carissimo, Ti scrivo queste libere considerazioni che mi sono arrivate a seguito dell’aver approfondito, in questi anni, la vostra conoscenza, direttamente e per tramite dei miei collaboratori. 

A questa conoscenza si è finalmente unita una vicinanza fisica che mi ha consentito di toccare con mano la vostra bella realtà e le caratteristiche che la contraddistinguono. Ed ora, eccomi qua.

Ho notato quanto importante sia per voi il ben-fare. Quanto sia innegabile che la concretezza per voi sia correlata anche al concetto di bello. 

Non fare a tutti costi ma fare bene, che equivale anche a fare cose belle e stare in un bel posto. La cura dei dettagli e l’importanza attribuita al sogno che diventa realtà sono elementi dai quali, anche in termini di risorse umane, non si può prescindere. Quali sono allora le persone che meglio si possono sposare con voi? Qual è quel sottofondo valoriale che deve suonare in accordo con tutta l’orchestra? A quale punto del suo cammino la persona si deve trovare?

Stare in un bel posto. Partiamo da qui. Le persone devono ritrovarsi nell’ambiente che non è solo lo spazio fisico aziendale ma anche quello della cultura del luogo, delle colline e della storia contadina delle nostre terre. Amare il paesaggio vuol dire prendersene cura, ammirarlo ma anche farlo ammirare, renderlo piacevole a chi giunge a noi al termine o durante il suo viaggio. Ecco allora che al concetto di orgoglio per la nostra terra, si unisce quello dell’accoglienza, dell’amorevole e gentile accoglienza che non ha bisogno di emergere perché è tutto il resto che è protagonista. Lo sfondo diventa primo piano, e protagonista deve essere l’insieme, non l’individuo.

 

Non c’è bisogno di stelle filanti, musiche assordanti, intrattenitori e confusione quando l’equilibrio, l’armonia e la bellezza riempiono lo spazio.

 

Quindi persone che sanno fare e far fare con rispetto, anche da dietro le quinte, con umiltà ma anche con grande passione e partecipazione alla realizzazione di quel sogno, di quell’idea un po' pazza che ci dice che, se vogliono, le persone semplici, possono volare (…)”.

 

Se vogliamo, noi persone semplici possiamo volare.

 

Stefania Suzzi, Partner SCR, consulente HR

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Stefania Suzzi
Scritto da Stefania Suzzi
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