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  4. Il ruolo del consulente nel contesto aziendale
Nel mestiere di consulente ci si trova ogni giorno ad entrare in nuovi contesti.
Il primo atto di coraggio di un cliente è quello di aprire le porte del proprio contesto ad un estraneo, e dare per scontato questo gesto è forse uno degli errori più gravi che possiamo commettere, perché potrebbe portarci a sottovalutare lo stato emotivo delle risorse con cui entriamo in contatto.


Senza la pretesa di mettere in campo nozioni psicologiche, credo che una buona dose di empatia e di predisposizione a mettersi nei panni degli altri possa essere utile per capire l’altro e farci aprire piano piano il suo contesto.
Questo è l’unico modo possibile per poter cominciare a fare il nostro lavoro.

Dale Carnegie, nel suo libro “Come trattare gli altri e farseli amici”, illustra un principio che riassume bene quanto detto fino ad ora: “Interessatevi sinceramente delle persone”, scrive.

Ritengo che questo sia fondamentale per aiutare davvero il nostro cliente.
Voler capire un contesto e le sue dinamiche è importantissimo e per farlo non possiamo prescindere dalle persone che già lo vivono.
Per un giovane consulente, a cui manca quell’esperienza che ti permette negli anni di affinare una certa predisposizione nel capire chi hai di fronte, a volte può risultare complesso comprendere in quale fase della curva del cambiamento si trova una persona, quali sono il suo stato emotivo e la sua predisposizione nei confronti del progetto.

Fare il consulente significa saper aiutare il cliente e il suo team a mettere ordine nel proprio contesto, creando al suo interno delle dinamiche positive, supportate da valori condivisi e da un metodo che permetta agli ingranaggi di girare bene.
L’obiettivo ovviamente è quello di facilitarne lo sviluppo, scoraggiando o disinnescando eventuali dinamiche negative.

Ricordandoci, ovviamente, che il consulente non è un mago e non può risolvere con un colpo di bacchetta i problemi di un’azienda o di una realtà imprenditoriale, piccola o grande che sia.

La consulenza assume valore nel momento in cui un cliente si fida e si affida al consulente, permettendogli di di aiutarlo mettendo in luce la soluzione più adatta a lui.

In alcune realtà ci sono difficoltà organizzative, in altre mancanze di metodo, in altre ancora una mancanza di visione o un certo grado di confusione che non permettono di far emergere le soluzioni.
Un elemento che accomuna però quasi tutte le figure coinvolte nei progetti di consulenza è la preoccupazione.
Spesso è l’imprenditore stesso a decidere di avviare per sé e per la propria azienda un percorso di consulenza. Nel suo caso la preoccupazione può essere quella di dover guidare la propria azienda, farsi carico dei propri collaboratori e vedere all’interno del team delle discrepanze o dei blocchi negli ingranaggi.

Per quanto riguarda i collaboratori invece la preoccupazione può sorgere dalla paura di non essere all’altezza o di dover uscire dalla propria zona di comfort, di non raggiungere le aspettative o i risultati richiesti dall’imprenditore.

Qualunque sia l’origine, il consulente si trova spesso a dover affrontare questo senso di preoccupazione che pesa sulle persone e le spinge a reagire, talvolta mettendosi sulla difensiva e sminuendo il progetto, oppure costruendosi degli alibi che giustifichino comportamenti negativi o poco costruttivi.
Può succedere che arrivino anche a mettere in discussione la professionalità o il ruolo del consulente stesso, quando questo viene percepito come un invasore del proprio contesto o come una figura negativa che vuole insegnare alle persone a fare il proprio lavoro.

Sempre Dale Carnegie scrive “Siate buoni ascoltatori. Incoraggiate gli altri a parlare di se stessi”.
Un atteggiamento che può venirci in supporto nel chiarire quale sia il ruolo del consulente, che non è certo quello di insegnante, ma bensì di agevolatore dello sviluppo di contesti positivi e costruttivi, all’interno dei quali le aziende possano svilupparsi.

Il consulente deve essere estremamente onesto nel descrivere al cliente il supporto che può fornirgli, nell’individuare il percorso più adatto, nel trasmettere alla squadra le competenze necessarie e nel fornire un metodo di lavoro.

Anche il cliente però deve essere onesto nei confronti di se stesso e del consulente, mettendosi in gioco per intraprendere un percorso che per forza di cose gli farà modificare alcuni comportamenti e/o abitudini.

In conclusione, credo che un consulente possa essere davvero utile allo sviluppo di un’azienda, a patto però che sappia entrare in punta di piedi all’interno del nuovo contesto, mettendo in campo tutte le sue competenze e abilità con lo scopo di aiutare l’imprenditore e il suo team a procedere, in maniera autonoma, nella giusta direzione.

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