Ritrovare l’umanità nell’era virtuale
Viviamo iperconnessi e sempre più isolati allo stesso tempo. Soli nelle nostre stanze, con una finestra aperta su un mondo che non ha niente di reale e che affascina, proprio come un sogno.
Le nostre vite sono scandite da lunghe pause nelle quali ci perdiamo dietro a un post o alla ricerca dell’ultimo messaggio. Quando emergiamo di nuovo nel mondo reale, risvegliandoci da quella specie di sogno vischioso che ci ha tenuti legati per un tempo indefinito, la nostra libertà è figlia di un divieto. A scuola, al lavoro. Utilizzare il cellulare e i social solo per motivi lavorativi, avere a che fare forzatamente con l’umano che c’è di fronte a noi, nella scrivania che sta a pochi centimetri dalla nostra.
Una nuova frontiera si spalanca dinanzi alle imprese: essere un avamposto di resistenza nella tenace lotta per la salvaguardia delle relazioni umane reali. Le nostre imprese dovrebbero investire in percorsi di ri-socializzazione per le nuove generazioni, cresciute e formatesi all’ombra del lock down, laddove l’accelerazione virtuale ha avuto inizio.
Abbiamo bisogno di umanità. Le nostre imprese non possono che investire su una competenza che fino a poco tempo fa era data per scontata: quella di comprendere il balletto delle relazioni, il saper stare con l’altro, il vedere, comprendere e sentire se stessi e l’altro in una dinamica allo stesso tempo vecchia come il mondo e sempre nuova.
Abbiamo bisogno del vuoto per creare, del silenzio per imparare a parlare, della pazienza per coltivare. E allora costruiamo nuovi spazi, un welfare che è anche disconnessione. Momenti nei quali ci si incontra senza filtri, lontani da 5g e altre amenità di cui pare non sappiamo più fare a meno.
Sostenibilità. Un termine che racchiude in sé molti significati, uno dei quali dovrebbe essere quello di sostenere le persone nel loro percorso evolutivo, nel rendere il momento del lavoro una vera fonte di ispirazione per raggiungere il proprio potenziale, esprimere la propria personale magia. E allora evviva le aziende disconnesse, quelle che sanno quanto importante sia la tecnologia per sostenere il business, ma sempre in terza o quarta battuta e comunque mai prima dell’uomo.
La disconnessione come valore. Ma non fine a se stessa, non come un intervallo che finisce con la campanella, e allora tutti di corsa a guardare lo schermo. Una disconnessione socializzante, accrescitiva, ricercata e attesa che dia gli strumenti per non dipendere dalla tecnologia nemmeno quando se ne fa uso. Una disconnessione piena di contenuti, silenziosa, lenta e giocosa. Spazi ludici guidati nei quali riconoscere nell’altro uno sguardo curioso che sembrava assente, un timido sorriso, una lucidità che non sembrava
possibile.
Ecco che l’impossibile diviene normale. E ciò che è normale travalica i confini aziendali e diventa una nuova possibilità nel modo in cui i collaboratori si sentono capaci di essere educatori digitali per i propri figli, di assumere la forza per andare controcorrente. E una piccola azienda coraggiosa può spargere un seme che germoglia nella società.
Non sempre i gesti eroici sono quelli sotto i riflettori. Essere azienda disconnessa non significa rifiutare la tecnologia. Significa comprendere che per godere dei benefici della tecnologia occorre saperla governare. Nessun alcolista si gode veramente il piccolo, intenso sorso di vino. Per essere veramente e pienamente capaci di usare la tecnologia, occorre non esserne dipendenti. Averne bisogno per lavorare, ma non per vivere. Usarla in tanti aspetti della vita quotidiana senza perdersi nella continua ricerca della connessione.
Sappiamo quanto la conformazione del cervello umano, soprattutto quello dei bambini e degli adolescenti, subisca modifiche e limitazioni funzionali dalla sovraesposizione alla tecnologia. Sappiamo anche come i like scatenino la dopamina e abbiano sul cervello lo stesso effetto delle sostanze stupefacenti. Eppure non si investe in percorsi di educazione all’uso consapevole e alla conoscenza di questi effetti collaterali gravi, gravissimi.
Essere il mondo che vorremmo parte anche da qui. Dall’istituire nelle nostre imprese il tempo di creare e divertirci nello spazio disconnesso, imparare come il mondo virtuale interagisce con noi per esserne sempre più utilizzatori consapevoli e ritornare ai nostri PC indossando i panni dell’invincibile supereroe.