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  4. Resilienza e motivazione: l'impegno conta
Ultimamente si sente molto spesso parlare di  RESILIENZA. Ma che cos’è? Le definizioni utilizzate sono diverse e molteplici (fonte: Google):
  • la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi;
  • in ecologia, la velocità con cui una comunità biotica è in grado di ripristinare la sua stabilità se sottoposta a perturbazioni;
  • in psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.

Ma il significato di resilienza che più ci piace è quello dato da Pietro Trabucchi, psicologo che si occupa da sempre di prestazione sportiva, in particolare di discipline di resistenza: “La resilienza psicologica è la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino. Il verbo "persistere" indica l’idea di una motivazione che rimane salda. Di fatto l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a "leggere" gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza.”

In sostanza sapete che cosa significa? Che paga solo l’impegno, il lavoro duro, la costanza, la perseveranza. I grandi obiettivi si raggiungono così, non c’è niente da fare. Può sembrare scontato, ma non lo è affatto.

Siamo arrivati ad un punto in cui l’impegno assume sempre più le sembianze di un concetto antiquato. Oggi, infatti, sempre in più ambienti si tende ad enfatizzare il concetto di talento: nel lavoro, nello sport, nei percorsi scolastici si sente parlare di predisposizioni innate, di “essere portati per”. Certo, esistono chiaramente delle predisposizioni, ma devono essere interpretate solo come un punto di partenza, un prerequisito per procedere nella crescita e raggiungere un obiettivo. Concentrarsi esclusivamente sul talento, può portare ad uno stato di passività, perché si tende già in partenza a togliere un peso, una responsabilità. “Non sono portato, quindi niente. Non lo faccio”. È proprio questo il rischio che si corre. Bisogna invece sviluppare un approccio che porti a perseverare, a continuare a provare.

Non si deve mai dimenticare che all’eccellenza e agli obiettivi si arriva solo con un duro lavoro. Serve allenamento in tutto, e nonostante questo, se manca la vera intenzionalità, non è detto che si raggiunga l’eccellenza. Occorre quindi una vera motivazione e la resilienza non è altro che una dimensione della motivazione stessa, che la aiuta a durare a lungo. “I giovani di oggi non hanno motivazione”. Non è vero, sono motivati, semmai sono poco costanti e perseveranti, non c’è resilienza e, alla prima frustrazione o intoppo, si fermano. Bisogna invece imparare a rialzarsi appena si cade.

E la motivazione è un elemento interno o esterno? Per molti è una caratteristica esterna, un incentivo, una costrizione. Ok può funzionare, ma ci sono molte criticità che potrebbero minare la motivazione senza grosse difficoltà. Inoltre non è durevole, se è esterna funziona solo a breve termine. Se, invece, a questa si aggiunge una motivazione interna, tutto cambia: è passione, una carica motivazionale. Con una spinta intrinseca aumenta la capacità di muoversi verso l’obiettivo, anche per il solo piacere di sentirsi capaci. E questo ci permette di essere molto più resilienti, perseveranti nel raggiungere gli scopi prefissati.

 

Se volete approfondire questo tema, vi consigliamo le seguenti letture di Pietro Trabucchi

  • Resisto dunque sono
  • Perseverare è umano
  • Tecniche di resistenza interiore
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