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Dopo aver segnato la storia dello sci da discesa aprendo uno tra i primi impianti di risalita al mondo, il Passo Rolle ha attraversato gli ultimi decenni tra numerose difficoltà. Dimenticato da buona parte dei turisti invernali, nel 2017 le sue piste semi deserte hanno attirato l’attenzione di Lorenzo Delladio, ceo e presidente de La Sportiva, il quale era pronto a mettere in campo un progetto innovativo per la sua riqualificazione.
Nonostante il vasto consenso raccolto dall’iniziativa, il progetto arena però quando un piccolo nucleo di oppositori rilancia l’offerta di acquisto delle quote di Sic. Srl, società in stato fallimentare allora proprietaria degli impianti.

Nel frattempo, a causa dell’imprevista chiusura forzata di quest’inverno e il ritardo nel realizzare la promessa di ammodernamento degli impianti, il progetto di Delladio è tornato oggetto dell’attenzione pubblica.
Dopo una crisi dettata in buona parte dal fermo imposto agli impianti di risalita, la sensazione comune è che, almeno in parte, il progetto de La Sportiva avrebbe potuto salvare il turismo del territorio.

Cosa prevedeva il progetto

- Smantellamento degli impianti di risalita;
- Predisposizione di nuovi percorsi e attività per più di 15 diverse discipline sportive, alternative e in parte complementari allo sci alpino, assolutamente rispettose dell’ambiente e del paesaggio naturale;
- Costruzione di una nuova struttura (sfruttando le volumetrie esistenti), comprendente una sala meeting, un ristorante e una reception dove accogliere e consigliare gli ospiti del parco;
- Costruzione di 4/6 experience room, atte ad accogliere gli ospiti che volessero vivere la montagna attraverso un’esperienza assolutamente immersiva;
- Analisi e formazione per le strutture e gli operatori turistici del Passo Rolle.

Partiamo dalle origini: tutto è nato durante un’escursione tra amici, è vero?

Il 2017 era un anno di scarsità di neve e gli impianti erano chiusi, non avendo la società che li gestiva i soldi sufficienti a coprire le spese per l’innevamento artificiale. A dire il vero, anche quando funzionavano li frequentavano pochissime persone: durante le nostre escursioni con gli sci d’alpinismo incontravamo si e no una ventina di sciatori.
Il panorama lassù è stupendo, ma quando ci fermavamo per fare una foto avevamo sempre queste funi, queste seggiovie vuote con i loro piloni in mezzo alla vista. È stato un po’ per scherzo che ci siamo detti: perché non si potrebbero far togliere?
A forza di parlarne ce ne siamo convinti e, alla fine, abbiamo pensato di proporlo a Trento.

Insomma, è stato qualcosa di molto spontaneo…

Tutto è nato dall’amore per quel territorio. Anche perché parliamo di un luogo che frequentiamo da quando siamo bambini e al quale siamo affezionati.
Solo dopo, quando abbiamo deciso di confrontarci con le istituzioni competenti, da un’idea tra amici si è trasformata in un progetto La Sportiva.
Perché quattro amici che scendono a Trento per parlare all’assessore non sarebbero stati credibili, mentre La Sportiva avrebbe avuto quantomeno la possibilità di essere ricevuta. E così è stato.

Come sono stati i primi confronti?

Quando abbiamo presentato l’dea di smantellare gli impianti all’assessore preposto all’urbanistica, c’è stata subito un’intesa. Il problema è sorto quando ci siamo confrontati con l’assessore al turismo. Lui ci ha ascoltati, per carità, ma non ha condiviso il nostro pensiero

Non è strano che un assessore al turismo non abbia avuto la sensibilità di cogliere l’opportunità del progetto?

A dire la verità la sensibilità ci sarebbe anche stata, in lui come in tanti altri. Il punto è che avrebbero voluto mantenere gli impianti e questo non poteva essere il nostro progetto. A quel punto non sarebbe più stata una riqualificazione ambientale del luogo, bensì un ampliamento dell’offerta dell’impianto.
Una cosa così può anche funzionare, non dico di no, ma a La Sportiva interessava essere protagonista di una riqualificazione ambientale, non di una sponsorizzazione a una località sciistica.

Ci sarebbe stata un’incongruenza a livello di marketing?

All’inizio, quando eravamo tra amici, al marketing non ci abbiamo pensato. È La Sportiva che ci ha dovuto pensare. Quando si tratta di investire milioni di euro in un progetto, la certezza di un ritorno sia pur minimo deve poterci essere. In questo caso non sarebbe stato un ritorno immediato, perché sarebbe stato un ritorno in termini di visibilità, ma l’affetto che ci lega verso questi luoghi avrebbe comunque giustificato l’impegno.

Come si è evoluto il confronto?

Abbiamo fatto il nostro iter. Non sai quante persone, politici e non, ho incontrato in quei mesi. A tutti è parsa una buona idea, ma in molti avrebbero voluto mantenere gli impianti. Siamo dovuti arrivare ad una situazione come quella di quest’anno per capire quanto sia importante superare la monocultura dello sci.

Un punto forte del progetto era quello di dare a molti sport minori un luogo sicuro dove poter essere praticati. Quali sono i numeri di queste discipline?

I numeri che abbiamo, come azienda, segnano una crescita del 40% rispetto all’anno precedente. La verità però è che, anche se si tratta di incrementi enormi a livello percentuale, a livello numerico restano incomparabili rispetto a quelli dello sci da discesa.
Tuttavia questi sport attirano un tipo di turista molto più attento rispetto a quello che frequenta normalmente le piste, per il quale si può aprire un altro tipo di economia, come ad esempio quella legata al turismo di bassa stagione.
È chiaro che lo sci da discesa rimane uno sport che fa bene all’economia di molti territori ed è assolutamente necessario mantenerlo, però non penso vada incentivato. È inutile costruire nuovi impianti, ce ne sono già abbastanza e già fanno fatica a chiudere bene i bilanci. Nonostante i numeri alti, senza l’intervento pubblico farebbero fatica a sostenersi. E sto parlando degli anni in cui vanno bene, non certo dell’inverno appena passato.

Quando il progetto si è arenato, ci sono state altre località che si sono fatte avanti per ospitare il progetto. Perché non avete accettato?

Sono stati dodici i comuni del Trentino che ci hanno chiesto di portare lì il nostro progetto. Erano però tutte zone senza impianti che avevano solo bisogno di essere valorizzate, e questo non poteva essere il progetto de La Sportiva. A noi interessava la riqualificazione ambientale, anche perché sarebbe stato un modo per restituire al territorio quello che gli stiamo togliendo.
Tra i nostri competitor siamo gli unici a ideare, studiare e produrre calzature per la montagna in montagna.
Questo è certamente un vanto, ma d’altro canto una fabbrica che si appoggia su 30 mila metri quadri ha un suo impatto.
La riqualificazione del Passo Rolle era in parte anche questo, un ripagare il territorio per quello che ci ha dato e ci sta dando.

Il fatto che il Passo Rolle sia un luogo storico per lo sci da discesa può aver giocato a vostro sfavore?

No, direi di no. Parlando con le persone, ma soprattutto con gli anziani che furono i protagonisti diretti della costruzione degli impianti del Passo Rolle negli anni ‘50, il progetto de La Sportiva per loro avrebbe significato rivivere quegli anni d’oro.
Chi si è detto contrario, e sono comunque in pochi, appartiene alle generazioni successive.

Alla fine, cos’è stato a bloccare il progetto?

Partire con un progetto in cui sai già che, qualunque cosa tu chieda, avrai qualcuno che ti rema contro, non è facile. Personalmente credo di aver fatto tutto quello che si poteva fare: ho messo in gioco me stesso, la mia azienda, addirittura milioni di investimento… purtroppo c’è stata una piccola parte di persone che si sono messe di traverso e il loro peso è bastato per far arenare tutto.

Dopo questo inverno è più il dispiacere per l’occasione persa o l’orgoglio di averci visto giusto?

A me spiace perché in tutto questo ci ha rimesso anche chi era stato favorevole al progetto e che, dopo un anno così, se già era in difficoltà prima non ho idea di come possa stare in questo momento.
Per il resto non c’è nessun senso di rivalsa, come a dire: avete visto? Quello l’hanno detto i giornalisti, certo. Perché se La Sportiva Outdoor Paradise fosse stato fatto, oggi non ne staremmo parlando tutti con questo strano senso di rammarico.

Davide Gabrielli: intervista al consulente curatore del progetto
Davide Gabrielli, presidente dell’omonima società di consulenza che curò il progetto, era ed è un grande amico di Lorenzo Delladio.
Anche lui fece parte di quel gruppo di amici che, nel 2017, ebbe l’idea per la riqualificazione del Passo Rolle.

Com’è stato, da consulente, far parte del gruppo di amici che ha avuto l’idea del progetto?

Avere la fortuna di condividere sin da subito la parte emotiva, la genesi dell’idea che sta alla base del parco, è stato sicuramente qualcosa di inusuale per un consulente. Inusuale e molto bello.

Cosa ti ha affascinato di più di questo progetto?

Quello che mi è piaciuto sin da subito sono stati i due fattori che hanno portato alla scelta del Passo Rolle come location per il parco.
Il primo riguarda il legame emotivo che Lorenzo e la sua azienda hanno con quel luogo; il secondo sta nella storia stessa del Passo Rolle.
Prima che ci fossero i moderni sistemi di innevamento artificiale, gli impianti che funzionavano di più erano per forza di cose quelli in cui la neve arrivava presto e andava via tardi. Il Passo Rolle era uno di questi e ha fatto da apripista nel mondo dello sport alpino. Era già stato, insomma, un innovatore.

Tempi d’oro dei quali oggi non rimane poi molto.

Il problema è che negli anni si è adagiato sugli allori del suo successo, ritenendo che solo perché si chiamava Passo Rolle tutti dovessero andarci. Nel frattempo però alcuni competitor ai quali non dava credito sono cresciuti molto: vedi il Lusia, Cavalese, San Martino. Quando sono arrivati al punto da poter contrapporre allo spettacolo scenografico del Rolle una maggiore quantità e qualità di chilometri di pista, tutto è cambiato velocemente e i suoi impianti si sono svuotati.
Dietro a questo progetto c’era secondo noi un’idea molto nobile, quella di dare al Rolle l’opportunità di restaurare la propria storia di innovazione e, al contempo, aumentare l’offerta turistica di tutto il territorio. Sarebbe stata la prima località alpina a riconoscere un’evoluzione del mercato, realizzando un modello di business diverso e ancora poco battuto. Esattamente come aveva già fatto più di cinquant’anni fa costruendo gli impianti di risalita.

Alla fine, invece, ha vinto chi ha voluto mantenere gli impianti…

Qui bisogna fare una riflessione che è sfuggita a molti.
Il Passo Rolle, per andare a pareggio e rientrare della montagna di soldi pubblici che gli verranno assegnati, dovrà fare una quantità importante di passaggi, intesti come biglietti strappati. Nessuno sembra averci pensato, eppure l’unico modo che avrà per fare quei passaggi sarà portandoli via dagli altri impianti che la provincia di Trento ha già finanziato.
In altre parole, per mantenere in vita un impianto da sci che non ha più le caratteristiche necessarie per produrre profitto, si va ad innescare una competizione interna che andrà a danneggiare tutte le società impiantistiche della provincia.
Il progetto della Sportiva sarebbe stato qualcosa di molto diverso, perché non sarebbe andato a competere sul mercato dello sci da discesa, finendo col frazionare ulteriormente il numero di sciatori che annualmente arrivano in Trentino, ma avrebbe attirato un pubblico completamente diverso, aumentando il numero totale dei turisti sul nostro territorio e creando più lavoro e opportunità per tutti.

Questo è poco meno che assurdo, com’è possibile che non ci abbiano pensato?

Tra chi si è opposto al progetto ci sono state alcune figure chiave legate al mondo degli impianti, ma è normale che, quando si ricopre un ruolo, si debbano difendere gli interessi di chi si è chiamati a rappresentare.
È pur vero che nonostante il loro no il progetto avrebbe potuto prendere avvio, perché la stragrande maggioranza degli attori pubblici e privati credeva nella nostra visione. Essendo però questo progetto vincolato da tutta una serie di deroghe legate al parco naturale di Paneveggio, sarebbe bastato il mancato rilascio di un permesso per bloccarlo. Ecco perché, mancando una partecipazione comune, abbiamo dovuto fare un passo indietro.

Questo cannibalismo interno va però a discapito della categoria stessa; innescarlo non sembra il miglior modo di fare gli interessi degli impiantisti.

Questa è stata una loro grande miopia, forse motivata dalla paura che avevano nel credere che questo progetto avrebbe potuto innescare un effetto domino: altre località, magari secondarie e delocalizzate, avrebbero voluto smantellare gli impianti, dando vita ad un trend che avrebbe potuto intaccare il fascino e il lustro dello sci alpino. Un pericolo in realtà inesistente, che però è bastato per farci perdere un’opportunità pazzesca.

Tornando al progetto, su quali presupposti avevate costruito l’idea del parco?

Abbiamo notato che solo uno su due dei turisti invernali si dedica allo sci, ma quello che non scia influenza la scelta della località per la vacanza successiva. Quindi o c’è un’alternativa di esperienze da proporre alla persona che non scia, oppure si rischia di perderla perché vorrà vedere un posto nuovo.
I risultati di quest’analisi, affiancati a quelli che ci segnalano da anni un trend crescente nel desiderio di mangiare meglio, stare più a contatto con la natura e dedicarsi allo sport, ci presentavano un panorama decisamente favorevole alla creazione del nuovo parco.

E i numeri necessari a farlo funzionare?

Il problema oggi non è trovare chi ha voglia di andare in montagna, né tanto meno chi voglia fare sport come l’arrampicata o lo sci d’alpinismo. Queste persone ci sono e sono tante. Quello che manca è invece un’offerta strutturata, capace di farti fare queste esperienze in completa sicurezza senza andare a compromettere il paesaggio naturale. Quello che voglio dire è che per fare delle attività nel bosco con i tuoi figli non hai bisogno di nessuno, le puoi inventare anche da te. Quando però sei a duemila metri e il cielo inizia a coprirsi, il tuo unico tarlo sarà quello di trovare un posto in cui ripararti con i tuoi bambini. A quel punto, sapere che lungo il sentiero c’è una piccola baita o una malga che può offrirti riparo può fare la differenza sul ricordo che avrai di quella giornata.

Sarebbe quindi stato un parco per il turista in cerca di esperienze?

Vedi, la difficoltà che ogni operatore ha è quella di vendere, e per vendere devi avere qualcosa da proporre. Io da trentino credo che i mesi più belli siano ottobre e novembre: nei boschi i colori si accendono, il clima è fresco e non c’è confusione. Allora mi domando, se piace a me perché non può piacere anche a chi viene da fuori? Perché il turista venga però bisogna costruire una proposta capace di raccontare quant’è bella la montagna in quel periodo, e questo costa fatica.
Per questo tutti sperano sempre che sia l’apt a farlo, oppure che a portare le persone da loro sia la grande attrazione degli impianti. Quando però questi si fermano… abbiamo visto tutti quali sono le conseguenze.
Ecco, noi avevamo pensato a creare tante storie ed esperienze diverse da poter raccontare a tanti pubblici diversi. Nel nuovo parco ci sarebbe stato spazio per l’amante dello sci o dell’arrampicata, della fotografia e persino dei cani da slitta.
A tutto questo ci avevamo pensato noi, a beneficio di tutto il territorio.

Allora qual è stato, secondo te, l’ostacolo più grande nella realizzazione del parco?

Alcune persone hanno contestato il progetto perché hanno pensato che avrebbe portato valore solamente a pochi, in questo caso a un’azienda, quando invece c’era un grande rispetto per il territorio e per la comunità che lo abita. Aver voluto vedere del male dove non c’era è stato un peccato, perché molte volte andiamo a bocciare o a ostacolare dei progetti cadendo nella trappola dei giudizi veloci e superficiali, sprecando così opportunità preziose.
Personalmente, so che se tornassi indietro qualcosa la cambierei. Per esempio, mi accorgo solo ora che tante cose non siamo riusciti a spiegarle nel modo migliore. Questo progetto avrebbe potuto portare molti benefici a tante persone, ma questi benefici andavano raccontati meglio, perché qualcuno non ha saputo vedere il buono che c’era e noi avremmo dovuto aiutarlo a capire.
Questa è l’unica cosa che cambierei, se tornassi indietro.

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