La partita più importante

Quanto sono importanti i risultati ottenuti in campo? E quelli fuori dal campo? Fondata sulla passione condivisa di un gruppo di amici, Aquila Basket è diventata un simbolo di integrazione sociale e sviluppo territoriale.
Andrea Nardelli, suo Direttore Generale, ci racconta come Aquila abbia saputo creare un forte legame con aziende, tifosi e giocatori attraverso un impegno costante nelle attività sociali e ambientali, dimostrando che il vero successo si misura non solo in campo, ma anche fuori.

Quest’anno Mark You verte attorno al tema della condivisione. Quale rapporto ha questa parola con la nascita di Aquila Basket?
Aquila Basket nasce dall’idea di un gruppo di amici con la passione per la pallacanestro. Passione che porta alla fusione di due progetti separati, Villazzano e Dolomiti Sport. Due realtà territoriali che decidono di condividere il proprio percorso.
Questi amici sono i soci che per diversi anni finanziano il club, ma il tema della condivisione lo ritroviamo anche quando il progetto si espande. Prima nasce il Consorzio Aquila per lo Sport Trentino, costituito dalle imprese che oggi detengono il 40% delle quote della società sportiva (all’inizio erano una decina, oggi sono cento), poi il Trust, un'associazione di tifosi che detiene un altro 40%.
Il restante 20% è in mano alla Fondazione per lo Sport Trentino, dove il tema della condivisione si declina principalmente a favore di tutte le attività a carattere sociale svolte sul territorio da Aquila Basket.
Aziende, soci, tifosi… avere tanti stakeholder significa dover accontentare interessi diversi?
In effetti non ci occupiamo solo di sport. Il 51% delle nostre attività si concentra sulla pallacanestro, tra prima squadra e settore giovanile, ma il restante 49% è rivolto alla creazione di valore sociale. Chi sponsorizza Aquila lo fa in tutte le sue sfaccettature: sportive, sociali, di sostenibilità e di intrattenimento. Un'azienda, un imprenditore o un manager che decidono di sposare Aquila Basket non sposano solo una società sportiva, ma un progetto dal forte connotato territoriale che ha dedicato molto alla sua comunità.
Questo aspetto di Aquila è facile da condividere con le aziende sponsor? Oppure si limitano a guardare il lato sportivo?
Devo dire la verità, oggi capita che le aziende supportino Aquila quasi più per le attività extra sportive che per l’attività in campo. Se non ci fosse quel tipo di impegno, forse Aquila avrebbe un carattere meno attrattivo. L'attenzione che abbiamo per le attività sociali e territoriali danno alla squadra un forte carattere distintivo, verso cui le aziende sono sempre più attente.
E con i giocatori? Immagino che loro abbiano un focus più incentrato sui risultati sportivi.
È evidente che i giocatori di Aquila sono professionisti e come tali sono molto focalizzati sulla performance sportiva. Ma è anche vero che, come in tutte le professioni, se vogliamo ottenere da loro qualcosa in più è importante trasmettere e condividere con loro dei valori che superino la logica professionale.
Tanti di loro, se non tutti, apprezzano molto l’impegno di Aquila nelle attività extra sportive. Far parte di un progetto così articolato li fa sentire parte di qualcosa di più grande. Sentono di essere importanti anche come persone, non solo come giocatori. È qualcosa che non si trova in tutti i contesti.
È un risultato che avete cercato o che avete scoperto durante il percorso?
A tavolino c'era la volontà di fare qualcosa che andasse oltre la pallacanestro, ma tutto il resto l’abbiamo scoperto nel tempo.
Questa scelta ci ha permesso di crescere in termini economici coinvolgendo più aziende, più appassionati, più opinion leader, ma non era stata pensata con queste finalità. Anche i giocatori, come ti ho detto, sono attratti dal nostro impegno sociale. Uno di loro, Paul Biligha, è rimasto colpito dall’impegno di Aquila nel terzo settore a livello ambientale. Quando abbiamo deciso di provare a prenderlo, l’estate scorsa, abbiamo scoperto che ha un master in sustainability e questo ha avuto un peso nella scelta di venire a giocare con noi.
Questa condivisione valoriale vale anche per i tifosi? Se sì, come si esprime?
I valori sono importanti, ma allargherei il discorso alla condivisione di un momento. L’evento partita puoi viverlo solamente come una competizione agonistica, oppure come un momento più ricco e sfaccettato. Noi oggi seguiamo molto lo stile americano dove la partita diventa un momento di condivisione di tempo, spazio, valori e intrattenimento. Le famiglie che vivono il palazzetto di Aquila lo fanno perché ci trovano qualcosa in più del semplice incontro sportivo. Sanno che è un luogo e un momento dove possono respirare una serie di principi, trovare un certo tipo di comportamenti, qualcosa che dà un senso più profondo alle dinamiche dello sport.
Pochi giorni fa Anffas ci ha premiati consegnandoci il “Premio per la felicità sostenibile” come riconoscimento per la capacità di mettere in campo dedizione, professionalità e orientamento ai bisogni delle persone più fragili. Se pensi al fatto che siamo una società sportiva, questo premio rappresenta qualcosa di speciale. Non so quante altre squadre, sul territorio nazionale e non, possano vantare un riconoscimento di questo tipo.
Quando si tratta di trasmettere questo impegno e questi valori alle aziende sponsor e ai nuovi giocatori, capita che si formino degli attriti?
Per quanto riguarda le aziende, la risposta in realtà è piuttosto semplice. Rispetto al passato sono sempre di più le aziende che ci cercano, e quando succede è perché già si riconoscono in quello che facciamo. Conoscono i nostri impegni, il nostro sistema di valori, e in tutto o in parte ci si riconoscono. Quelle che non la fanno, e ci sono anche loro, non cercano Aquila Basket.
Per i giocatori è un po’ diverso. Puoi vedere quello che fanno in campo, ma questo non ti dice che tipo di persone sono. In questo caso devi muoverti bene a livello di scouting. Come squadra abbiamo una rete di contatti molto ampia a livello nazionale e internazionale. Quando vogliamo prendere un giocatore ci informiamo tramite colleghi, scout, allenatori... Che tipo di persona è? In quale famiglia è cresciuto, quale percorso universitario ha avuto? Poi, ovviamente, ci sono i colloqui diretti, dove cerchi di aggiungere pezzi al puzzle. Per certi aspetti è qualcosa di molto simile a quello che succede nelle aziende.
All'interno delle aziende, però, può capitare che una volta assunta una persona si riveli molto diversa da come appariva nei colloqui…
Certo, e può capitare anche a noi. Come in tutte le organizzazioni, anche in Aquila esistono dei negotiable e dei non negotiable. Si tratta di mettere in chiaro dove saremo intransigenti e dove invece potremo venirci incontro.
In dieci anni di serie A non abbiamo mai avuto grossi problemi. Lì dove ne abbiamo avuti di più piccoli, abbiamo una struttura capace di affrontarli sotto ogni aspetto. Tante volte ci si dimentica che molti di loro sono solo dei ragazzi, spesso alle prese con la loro prima esperienza oltreoceano, lontano da casa. Un po’ come accade oggi nelle aziende, capita di dover essere un po’ psicologi, comprendere le loro difficoltà, le loro debolezze. Sono persone, non sono numeri, e le persone possono avere i loro momenti difficili.
Poco tempo fa uno dei nostri giocatori ha avuto il suo primo figlio. Ci è sembrato naturale dargli una settimana di pausa per restare a casa. Pazienza se ha saltato una partita importante, in un momento delicato abbiamo voluto mettere i suoi bisogni davanti all’interesse del club. Quando è tornato però ha dato il 120% di sé, perché sentiva di dover ricambiare quello che la squadra aveva fatto per lui.
È come per un’azienda. Se riduci tutto al cartellino, agli orari di ufficio, ma non c’è mai una buona parola, un venirsi incontro quando l’altro ha bisogno, finisci per sentirti solo un numero. A novembre ero in America dove ho avuto modo di confrontarmi con i dirigenti dei Brooklyn Nets. Mi hanno raccontato quanto sia importante per loro investire nella comunità. Allo stesso tempo, stanno investendo molto per avere delle infrastrutture capaci di attirare l’interesse delle superstar. È quello che in piccolo facciamo anche noi. Ai nostri giocatori cerchiamo di dare i migliori appartamenti, le migliori auto, i migliori servizi di welfare per loro e per le loro famiglie. Parlo in termini di benessere, non di lusso. In altre parole, li trattiamo come persone, non solo come giocatori.
Aquila investe molte energie nei suoi progetti sociali. Se il 100% del suo budget fosse rivolto ai risultati sportivi, cosa pensi cambierebbe?
La vittoria e la sconfitta sono due aspetti piuttosto relativi nel nostro lavoro. Alla fine vince sempre e solo una squadra, tutti gli altri perdono. La differenza la fa quello che fai lungo il percorso. Per usare una metafora aziendale, ci troviamo in un mercato molto competitivo. Ci sono squadre che hanno un budget due, quattro, otto volte più grande del nostro. E non sono solo una o due, ma almeno sei o sette. Capisci bene che se partissimo con l'idea che la vittoria è l'unico metro di paragone, non varrebbe la pena neppure iniziare a giocare.
Il prodotto sportivo cui puntiamo è collegato alla vita del nostro territorio. Vogliamo costruire qualcosa che sia capace di prendersi cura anche delle persone che abbiamo attorno. Ecco perché impegnarsi al massimo non è un negotiable. Non ci arrabbiamo se perdiamo una partita, ci arrabbiamo se non diamo il meglio di noi.
Penso sia importante che chi viene a vedere la partita non venga solo per la vittoria, ma per vivere un bel momento con la famiglia, dove si possa sentire a casa, condividendo gli obiettivi e la mission che ci siamo dati.
Mi chiedi del budget. Oggi circa il 60% è speso nella squadra, mentre il 40% su persone ed attività che ci permettono di creare il prodotto che oggi è Aquila Basket. Se investissimo il 90% sulla squadra cosa potremmo ottenere? Forse, e dico forse, avremmo quattro punti in più in campionato, ma non avremmo il record regionale di spettatori medi per partita di regular season (3644), non avremmo una partita su tre in sold out, né un pubblico con il 30% di under 30. Così come non avremmo un’Academy riconosciuta a livello internazionale e un progetto No Profit tanto radicato sul territorio. Non avremmo neppure redatto il primo bilancio di Sostenibilità di Aquila Basket, né esisterebbe Aquila Basket EarthDay.
Insomma, potremmo farlo. Ma non credo proprio ne varrebbe la pena.