Bruno Pellegrini

Global Marketing Director Comelit

 

Mi sono occupato per quasi dieci anni di vendite per un grande Gruppo internazionale: prime esperienze all’estero, primi approcci con i clienti, prime delusioni ma anche prime soddisfazioni. Essere a contatto con i clienti e con le loro esigenze è stato molto formativo, poi però ho sentito il desiderio di completarmi dedicandomi al marketing. Il tempo scorre veloce quando ci si diverte e ormai da quasi venti anni il marketing è diventata la mia passione, oltre che professione. Insieme ad una trentina di collaboratori ci occupiamo di ricerca di opportunità e messa a terra del potenziale business, definizione delle specifiche per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi e, naturalmente, del mondo della comunicazione e della lead generation.

 

Parafrasando la celebre frase dell’Amleto, la domanda per molte aziende è ancora drammaticamente attuale.

Personalmente ritengo che nell’era dell’affollamento dell’offerta, lì dove qualsiasi prodotto è separato dal proprio potenziale cliente da un semplice tap su di un dispositivo mobile, le aziende non possano permettersi di essere semplicemente presenti sul mercato.

Devono anzi esprimere a pieno la propria identità, cercando di emergere dalla massa senza alcun dubbio amletico di tipo 2.0.

 

In questo sono sempre stato affascinato dai grandi Brand, dalla loro capacità di comunicare con i propri clienti rendendosi desiderabili.

 

Nel corso degli anni ho capito che se c’è una cosa che più di qualsiasi altra accomuna tutte queste grandi aziende, è certamente l’anteporre l’essere (l’identità) al fare (prodotti o servizi).

 

Pensiamoci un secondo.

Posti di fronte ad una scelta di acquisto, lì dove le caratteristiche di un prodotto non sono troppo diverse da quelle di un altro, senza dubbio siamo portati a scegliere la marca di cui ci fidiamo maggiormente. E cioè quella che conosciamo per esperienze pregresse, dirette o indirette; quella che nel corso del tempo ha saputo meglio entrare in connessione con noi.

Di fatto la Brand Personality è proprio questo. La marca ha una sua personalità e la esprime con forza.

Se ad esempio pensiamo ad Harley Davidson e a come comunica, rapidamente comprendiamo che non vendono motociclette, ma emozioni; libertà con una narrazione al limite dell’OutOfLaw.

Volvo, invece, esprime con coerenza il concetto di sicurezza e di peace of mind.

Seguendo questa logica, si comprende facilmente come i loro prodotti siano indiscutibilmente figli dei rispettivi principi identitari. 

 

Al mondo dei grandi Brand si antepone il mondo dell’impresa con basso valore di Brand, dove la marca risulta più scarica e posta in seconda o terza fila rispetto al prodotto.

Queste aziende sono accomunate dall’anteporre il fare (prodotto/servizio) all’essere (identità). Un approccio al mercato che poteva funzionare, e di fatto ha funzionato, in un regime di alta domanda, dove l’offerta non faticava troppo a conquistarsi l’attenzione dei propri clienti. 

 

Essere”, e cioè avere un’identità chiara, porta con sé il “decidere”: cosa fare, a chi proporsi e in che modo. E, contestualmente, maturare la consapevolezza che a qualcosa bisogna saper rinunciare.

 

Tipicamente le aziende faticano molto a rinunciare, ma pensare di vendere tutto a tutti è un’illusione che, se nel breve può dare qualche soddisfazione, nel medio e lungo periodo produce solo costi e smarrimento identitario. Ed è proprio questo concetto di smarrimento che vorrei cercare di mettere in luce nell’esempio che segue.

 

Si comincia sempre con un’opportunità commerciale borderline, alla quale si crede di non poter rinunciare… e dopo una non rinuncia dietro l’altra, in capo a qualche anno ci si ritrova con il catalogo zeppo di prodotti che hanno poco a che vedere con l’azienda, i quali producono ricavi incerti se non nulli a fronte di costi certi.

 

Anche se questo sembra essere il classico esempio che riguarda gli altri e non noi, purtroppo va detto che è più diffuso di quanto si possa sospettare e non risparmia nemmeno gruppi internazionali molto grandi.

Vi porto l’esempio di un gruppo statunitense che produce ricavi per oltre 20 miliardi di $, fondato nel 1806 da William Colgate. Gruppo incappato in un errore di smarrimento di identità gigantesco.

 

Colgate è noto ai più per la produzione di pasta dentifricia, grazie alla quale ha costruito nel corso di oltre 200 anni un forte posizionamento nella cultura del consumatore. Durante questi anni il gruppo ha espanso la propria offerta sempre nell’ambito della cura della persona.

O almeno, quasi sempre.

 

Nei primi anni ’80, infatti, anziché infoltire la gamma con un ulteriore prodotto adiacente alla propria offerta, in Colgate si sono inventati una sfortunatissima lasagna al ragù di manzo.

Sì, avete letto bene!

Un errore talmente tragico da conquistarsi un posto al The Museum of Failure a Helsingborg, dove sono raccolti alcuni dei peggiori fallimenti dei Brand più celebri al mondo.

 

Ora, proviamo a riflettere un secondo sui costi di una scelta così scellerata: studi di mercato e consulenze per comprendere l’industry del food e come penetrarla; costi per la messa a punto del prodotto e della sua distribuzione; costi commerciali e di marketing; costi per la messa a punto della catena di valore, produzione, stoccaggio, rimanenze; costi in termini di immagine e ripercussioni sul Brand.

Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Chiaramente non dispongo dei dati, non so quindi asserire quanto sia costata questa operazione, ma è tuttavia ragionevole pensare che errori del genere possano essere fatali per qualsiasi azienda.

 

Questo proposto è un esempio piuttosto rilevante degli errori nei quali si può incappare se non si ha chiara la propria identità e, di conseguenza, il proprio ruolo nel mercato.

Pensare che se fai bene il dentifricio ti puoi permettere di vendere qualsiasi prodotto è semplicemente ridicolo… eppure è accaduto!

 

Tuttavia, gli errori non sono sempre così eclatanti. Ce ne sono moltissimi all’interno di ogni organizzazione, spesso molto più infimi e nascosti, ma non per questo meno pericolosi.

 

A tal proposito, mi sento di consigliare la lettura dell’ultimo libro di Daniel Kahneman “Rumore - un difetto del ragionamento umano ”.

 

Il prof. Kahneman, premio Nobel per l’economia e autore best seller, spiega dettagliatamente come ogni sistema sia affetto da bias cognitivi, e dunque da diverse forme di rumori e distorsioni che producono scelte sbagliate.

Nel suo testo non si riferisce al solo mondo delle imprese, ma a tutti i sistemi che nel corso della storia l’uomo ha faticosamente messo a punto. Come ad esempio il sistema legislativo, quello giudiziario, quello medico, quello scientifico e via discorrendo. 

 

È impressionante la quantità di errori, anche molto grossolani, nei quali è facile incappare con risultati che rischiano di costarci caro.

Essere coerenti con la propria identità e fedeli alla promessa fatta ai propri stakeholders non è la panacea a tutti i mali, ma di certo aiuta a tenere la rotta, rendendo più forti e consapevoli le organizzazioni nello scegliere quali prodotti sviluppare e mettere a catalogo e quali, invece, no (le famose rinunce).

 

Quella che fino a qui potrebbe sembrare un’affascinante teoria, vi assicuro che diventa velocemente un’agghiacciante realtà se sottovalutata.

Come ho detto, non ci sono solo i casi eclatanti come quello di Colgate: basta saper volgere lo sguardo dove serve per vedere quanto sia diffuso e quante aziende ne siano affette.

 

Per gli scettici in ascolto, l’invito è di provare a fare una semplice analisi di redditività per prodotto o linea di prodotto. Vi accorgereste di quanto l’offerta e i cataloghi siano zeppi di prodotti che con l’impresa stessa hanno poco a che vedere, figli di tentativi più o meno avventurosi e suggestivi, ma che all’atto pratico si rivelano fallimentari.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che se non provi non potrai mai sapere se hai rinunciato a un’opportunità di profitto interessante.

Personalmente, condivido completamente questa visione. Purché provare non significhi spingere l’azienda oltre i propri confini.

Se fai dentifricio, non fare le lasagne. 

 

Tornando ai sogni realizzabili, confesso che ho desiderato a lungo di portare nell’azienda per la quale lavoro la stessa cultura di identità dei grandi Brand, ovvero di ricondurre il fare (prodotti/servizi) all’interno del perimetro delineato dal nostro essere (identità).

 

Se hai chiaro chi sei, sarà più facile capire dove vuoi andare (la mission aziendale), quali obiettivi traguardare e come raggiungerli.

 

Mettere al primo posto la propria identità significa cambiare radicalmente l’azienda, prima dentro e poi fuori, e i cambiamenti interni sono complicati poiché incidono sui flussi di lavoro e sulle procedure aziendali, cambiando le modalità operative e la cultura dell’impresa.

 

Questo è stato il caso del progetto Rebranding del Gruppo Comelit.

Un percorso lungo due anni che è iniziato con un viaggio introspettivo e che ha coinvolto la proprietà, il CDA e la prima linea di dirigenti.

Insieme sono stati posti gli elementi di base che costituiscono la piattaforma sulla quale erigere il futuro dell’azienda.

 

Abbiamo identificato i nostri Valori peculiari rispetto alla concorrenza, tradotti poi nello slogan With You Always, dove il pronome you assume diverse declinazioni: i nostri clienti, i nostri collaboratori, i nostri fornitori, il nostro ambiente.

Per ciascuna di queste aree tematiche l’azienda ha mosso concreti passi per rendere lo slogan una solida promessa e una forma di impegno, un patto che la lega con i suoi sottoscrittori.

Ad esempio, sono molte le attività messe in campo in favore dei collaboratori: piani di formazione, lavoro agile, piani di carriera, ambienti di lavoro sicuri e confortevoli e altro ancora.

Abbiamo poi lavorato concretamente verso i nostri fornitori, avviando un processo che porta la relazione sul piano della partnership più che su quella della fornitura.

Inoltre, ad oggi c’è in cantiere il primo bilancio di sostenibilità sociale, perché il nostro intento è quello di fare business in una forma compatibile e sostenibile con il mondo che ci ospita.

 

Infine, verso i nostri clienti ci stiamo assumendo l’impegno più grande, e cioè quello di essere sempre al loro fianco nel momento che conta: With You Always. Una promessa importante che presuppone una grande organizzazione della macchina operativa, capace di supportare i professionisti in ogni fase: servizi pre e post vendita altamente qualificati, affiancamento on the job, formazione, assistenza tecnica, assistenza alla progettazione e via discorrendo.

 

Questo fa di Comelit un Brand vicino ai propri clienti e che ci consente di distinguerci dalla nostra arena competitiva proprio grazie al valore identitario.

 

Ma non ci siamo fermati all’autoproclamazione di azienda vicina ai propri clienti. Abbiamo innescato un meccanismo di valutazione da parte loro che ci permette di misurare la loro soddisfazione, pubblicandone i risultati. Recentemente abbiamo infatti avviato una collaborazione con una società terza (Trustpilot), la quale si occupa di certificare il livello di soddisfazione dei nostri clienti.

Le recensioni sono pubbliche sia nella pagina Trustpilot sia, naturalmente e soprattutto, sui nostri portali www.comelitgroup.com, e con orgoglio posso dire di lavorare per un'azienda che riceve una valutazione globale di 4.6 punti su 5.

 

In conclusione, il sogno sta diventando realtà.

Ovviamente c’è ancora del lavoro da fare, perché cambiare radicalmente l’approccio dell’azienda da product driven a customer driven richiede tempo, ma la rotta è tracciata e non torneremo al porto dal quale siamo salpati.

Se tra coloro che leggono oggi ci sono ceo e/o dirigenti che sentono di dover cambiare ma ancora non hanno trovato il tempo o il coraggio per farlo, naturalmente il mio suggerimento è quello di non aspettare che il sogno si trasformi in bisogno.

Il rischio è che, a quel punto, possa essere troppo tardi.

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