1. Home
  2. Blog
  3. Marketing operativo
  4. Principi di leadership per la gestione delle reti vendita

Le forti turbolenze degli ultimi anni hanno reso la navigazione difficile per molte reti vendita, e chi non ha avuto sufficiente agilità per adattarsi alle mutevoli situazioni di mercato ha pagato conti molto salati.

 

La scrittrice turca Elif Shafak scriveva: “Non posso cambiare la direzione del vento, ma posso regolare le vele per raggiungere sempre la mia destinazione". 

 

Una ricerca americana afferma che il 70% dei cambiamenti nelle aziende fallisce perché le organizzazioni si concentrano più sul processo che sulle persone. Durante un periodo di grande cambiamento, se l’interesse dei manager si orientasse verso i propri collaboratori il loro senso di appartenenza e la loro proattività crescerebbero del 30%. La domanda quindi è: cosa possiamo fare per guidare una rete vendita in mezzo al mare in tempesta?

 

Due spunti interessanti arrivano dal concetto di “Skin in the game” e dal modello 3E di Chester Elton. 

Il codice di Hammurabi prevedeva che, se un architetto edificava una casa e poi questa crollava, l’architetto veniva condannato a morte. Ovviamente non sto dicendo di recuperare questa legge, ma di considerare il fatto che troppo spesso si prendono decisioni importanti senza “skin in the game”, cioè senza “giocarsi la pelle”. 

La frase viene a volte confusa con il concetto di incentivi unilaterali, e cioè che  la promessa di un bonus farà lavorare di più qualcuno per te. Ma giocarsi la pelle significa molto di più.

L’attributo centrale è la simmetria: chiunque voglia una parte dei benefici deve anche condividere alcuni dei rischi.

I sistemi non imparano, perché le persone imparano individualmente. I sistemi apprendono a livello collettivo attraverso il meccanismo della selezione, e cioè attraverso l’esclusione di quegli elementi che riducono la prestazione dell'insieme, a condizione però che questi abbiano prima accettato di mettere la pelle in gioco. In assenza di questo filtro i meccanismi dell'evoluzione falliscono.

“Possedere il proprio rischio” è stato un codice morale ineludibile negli ultimi quattro millenni. Meno di un terzo degli imperatori romani morì nel proprio letto. Lo status veniva consolidato con una maggiore esposizione al rischio: Alessandro, Annibale, Scipione e Napoleone non solo furono i primi in battaglia, ma derivarono la loro autorità da una forte esibizione di coraggio nelle campagne precedenti.

È importante che il leader si assuma sempre la responsabilità dei risultati e dei rischi: egli è chiamato a mettere tutto se stesso in ogni fase della partita, fungendo da esempio per tutta la squadra.

 

Acquisito questo mindset, passiamo allo sviluppo delle 3E: Engagement, Enablement, Empowerment.

La prima fase è creare Engagement.

I leader si impegnano per garantire che i collaboratori comprendano in che modo il loro lavoro e le loro azioni  si inquadrano nel complesso degli scopi, della vision e degli obiettivi aziendali.

Questo è un elemento fondamentale perché, una volta condiviso, influisce su convinzioni e motivazioni. Più forte è il livello di engagement, più agilmente supereremo gli inevitabili ostacoli che troveremo durante il percorso, con un notevole risparmio di energie.

I collaboratori engaged hanno una visione chiara delle loro responsabilità rispetto al raggiungimento dei risultati, e sanno riconoscere il valore del loro contributo per la mission complessiva dell’azienda.

Alti livelli di engagement richiedono chiarezza in:

- Mission e valori aziendali

- Standard e aspettative che ciascun collaboratore deve soddisfare

L’engagement di una persona è influenzato dalle possibilità di crescita, quindi coaching e training sono fondamentali per coloro che hanno ambizioni di crescita. Passare dal controllo a curarsi dell’engagement garantisce prosperità all’organizzazione.

 

La seconda fase riguarda l’Enablement.

Se abbiamo coinvolto attivamente la persona, ma poi questa non ha potere decisionale, finirà per essere frustrata e i livelli di performance si ridurranno progressivamente.

Creare enablement significa avere collaboratori autorizzati e stimolati a prendere decisioni autonome per raggiungere i risultati.

L’azienda sostiene le persone fornendo loro gli strumenti e la formazione che servono, mentre le prestazioni devono essere valutate regolarmente e i feedback dei clienti e dei collaboratori devono essere condivisi liberamente.

Buona parte del tempo del leader è dedicato ad attività di supporto per fare in modo che i collaboratori sappiano destreggiarsi tra le difficoltà dei loro incarichi. Non risolveranno i problemi in prima persona, ma garantiranno loro le risorse di cui hanno bisogno per trovare la rotta giusta in un ambiente in continuo mutamento.

Un esempio possono essere le condivisioni di best practices.

Il primo passo per creare enablement consiste nel passare dal “dire la cosa giusta” al “porre la domanda giusta”, e cioè chiedere al collaboratore come si comporterebbe di fronte ad un dato problema.

Se la soluzione proposta corrisponde almeno per il 70% a quello che avevi in mente, allora accettala e sostieni la persona nell’azione.

 

La terza fase riguarda l’Empowerment.

Abbiamo coinvolto e abilitato le persone, ora dobbiamo garantire un sentimento diffuso di benessere e alti livelli di energia a tutta l’organizzazione.

I leader riconoscono mensilmente i risultati raggiunti individualmente e collettivamente, possibilmente attraverso sistemi premianti.

I collaboratori sanno che i leader si preoccupano del loro work life balance e sono sereni nell’affrontare periodi di extra carico di lavoro nei momenti di picco, garantendo ottima affidabilità.

Un driver decisivo per lo sviluppo dell’empowerment è la fiducia, e questa è alimentata dall’apertura della comunicazione, perché sentirsi inclusi in un gruppo è energizzante e abilitante. Sentirsi liberi di condividere anche fatti o situazioni non positive è un forte elemento aggregante e contribuisce a consolidare la fiducia.

 

I leader devono comprendere la spinta che i collaboratori ricevono da una comunicazione aperta, dal mantenimento delle promesse e dal riconoscimento delle qualità del loro lavoro

Impegnandoci ad applicare costantemente il modello delle 3E  avremo  giocatori che sono anche tifosi della squadra in cui giocano, perché si sentiranno abilitati a cercare attivamente situazioni nelle quali potranno creare valore per l’azienda, avranno l’energia per durare a lungo e condivideranno le idee per innovare cercando relazioni nuove e profonde con i clienti, accelerando i processi per migliorare i risultati. 

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani sempre aggiornato!
Pierluigi Vessio
Scritto da Pierluigi Vessio Sono esperto di risultati, non di attività. È inutile continuare a fare in modo efficiente cose che oggi servono a poco. Attratto dalle sfide, antagonista dello status quo, guido persone e aziende in percorsi di gestione del cambiamento, ottimizzazione delle dinamiche relazionali, miglioramento della performance di vendita individuale e di team.
Attenzione!
Per un'esperienza di navigazione completa utilizza il tuo dispositivo in verticale.
Grazie!