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  4. Di notte i sogni, di giorno i dati

Ciò che muove un’impresa è il sogno di fare qualcosa di grande o, più semplicemente, di fare bene quello che si è proposti di fare, migliorando continuamente.

Ma affinché il sogno iniziale del fondatore sia davvero in grado di alimentare l’impresa, questo deve essere trasformato in un obiettivo misurabile e verificabile.

Molte aziende ci sono riuscite e hanno trasformato il loro sogno in un traguardo, l’hanno quantificato e, a cadenze temporali definite, misurano quanto siano distanti da quell’obiettivo iniziale e che le ha spinte a mettersi in gioco.

Possiamo allora dire che, in un certo senso, queste realtà sposino la famosa frase attribuita a lord Kelvin: «se non si può misurare qualcosa, non si può migliorarla».

 

Queste però non le rende automaticamente aziende così dette Data-Driven.  

Le aziende data driven sono infatti quelle organizzazioni dove le decisioni vengono intraprese attraverso la lettura dei dati, e non sulla base di percezioni o intuizioni del leader.

 

Voglio ripetermi: la parte del sogno, dell’intuizione e dell’emotività deve certamente essere alla base della nascita di una qualsiasi impresa, economica e non.

Il modo però di guidarla verso quell’obiettivo non può avere la stessa natura.

 

Prendere molte decisioni senza il supporto dei dati non solo è rischioso, ma richiede uno sforzo superiore e fa ricadere la responsabilità di ogni scelta su di un gruppo ristretto di persone.

 

Ma allora, perché molte aziende non si affidano più spesso ai dati?

 

Quali sono i problemi, rispetto al tema dell’analisi, che un’azienda incontra sul suo cammino?

 

Scartiamo subito la tecnologia, la quale certo non è un problema. Anzi: l’avanzamento tecnologico rispetto alla capacità di creare e di gestire una grande mole di dati è stato molto rapido non solo per quanto riguarda la loro elaborazione, ma anche nello sviluppo di applicativi semplici da usare.

Eppure notiamo una discrepanza tra quelle che sono le aziende data-driven e la volontà, quantomeno dichiarata, dei grandi dirigenti.

Ben l’83% dei CEO afferma infatti di voler basare la propria organizzazione sui dati, eppure sono poche le aziende che riescono davvero a prendere decisioni oggettive, specie tra le aziende più piccole (solo il 29% si dichiara pronto ad affrontare questo tipo di cambiamento).

 

Se quello che blocca non è la mancanza della tecnologia, a farlo è invece la cultura del dato. Diventare un’azienda data-driven vuol dire cambiare e il cambiamento, si sa, richiede fatica. Tanto più se questo coinvolge non solo una cerchia ristretta di persone ma tutta, o quasi, la forza lavoro.

 

I dati all’interno di un’organizzazione vengono infatti generati ovunque e a tutti i livelli operativi, dalle funzioni back-end a quelle front-end.

Come però scriveva Bernard Marr in un articolo di Forbes nel 2018, i nostri sforzi non devono essere spesi per creare dati, quanto piuttosto per selezionarli, riflettendo su quali sono davvero utili per noi e quali sono gli indicatori da considerare per monitorare ciò che sta succedendo e che sta per succedere.

Un altro piccolo ostacolo risiede anche, per chi sta al vertice, nel delegare alcune decisioni alla risultante delle azioni collettive, avendo fiducia nel nuovo processo che si è creato.

Il vantaggio di chi si affida ai dati sono d’altra parte piuttosto espliciti.

Primo fra tutti, quello di avere un supporto a partire dal quale prendere le decisioni (soprattutto le più delicate e importanti). Il secondo è quello di riuscire ad anticipare il comportamento dei mercati e, infine, la trasparenza che assume il processo decisionale all’interno dell’organizzazione, chiarificando alcune dinamiche e agevolando il confronto.

 

Da dove partire per diventare un’azienda data-driven

Il primo settore su cui agire è la cultura aziendale.

Va innanzitutto creato un contesto in cui il modo di pensare sia analitico, in cui tutti i dipendenti e non solamente i vertici dell’azienda si chiedano se, per fare al meglio il proprio lavoro, possono essere aiutati dai dati e, tra i molti, quali di questi nello specifico.

Bisognerà anche creare la consapevolezza che i dati possono essere raccolti anche per agevolare qualcun altro, spesso per un reparto differente, aiutandolo così nel prendere le sue decisioni. 

Bisognerà infine lavorare per eliminare quella comprensibile “gelosia del dato”, spesso custodito da un singolo dipendente o reparto, rendendolo consultabile a chiunque possa averne bisogno.

In questo modo, ognuno collaborerà alla realizzazione dell’obiettivo comune.

 

Perché se è vero che un sogno non è fatto di numeri, è anche vero che i numeri possono farlo diventare realtà.

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Alberto De Marchi
Scritto da Alberto De Marchi
So che molte sfide sono difficili, ma credo che con il giusto equipaggiamento possano essere affrontate. Il mio motto: “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”
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